Ogni grande allenatore reagisce a modo suo alle difficoltà. Massimiliano Allegri, che in Serie A ha dominato negli ultimi cinque anni, era solito ribattere alle critiche punto per punto, proteggendo a spada tratta i giocatori. Carlo Ancelotti parla, argomenta, dispensa serenità all’ambiente. Josè Mourinho, per tornare indietro a un nome caro a tutti gli interisti, passava sempre al contrattacco, individuando nemici veri o presunti per compattare la sua squadra. Antonio Conte niente di tutto ciò: Antonio Conte piange. Piange miseria, nel caso specifico.

Sabato pomeriggio l’Inter ha pareggiato in casa per 2-2 col Parma, sprecando un’occasione di riportarsi davanti alla Juventus fermata 1-1 a Lecce. Un passo falso, grave non tanto per la classifica quanto per la psicologia, propria e pure dei rivali. Ma più negativo ancora per i nerazzurri è stato il post partita, quando Conte si è presentato in conferenza stampa e ha cominciato a prendersela con le assenze, gli infortuni, il calendario, il mercato: “È la terza partita che facciamo in sei giorni e stanno giocando praticamente sempre gli stessi per via di alcuni infortuni. Non sono sereno, non sono tranquillo da questo punto di vista”.

Non si fatica a crederlo: Conte ha sempre avuto la “lacrimuccia” facile. Quando le cose vanno male, o comunque non benissimo, diventa lamentoso, accampa pretese. E guai a non accontentarlo. Non è la prima volta che succede: con la Juventus, in fondo, finì proprio per questo, per le visioni diverse sul mercato e la famosa metafora del “ristorante da 100 euro, dove non si mangia con 10”. Al Chelsea, svanito l’idillio del primo anno, battibeccava in continuazione con la dirigenza. Ancora prima, a Bari, lasciò tre settimane dopo il rinnovo del contratto, perché chiedeva di rifondare la squadra che aveva appena riportato in Serie A. Persino in Nazionale metteva in croce la Figc per avere i famosi stage durante la stagione.

Un po’ è carattere (che però stona con la sua indole da combattente e trascinatore), un po’ è una tattica: piangere per ottenere qualcosa. In questo caso, chiedere pubblicamente rinforzi, e se non dovessero arrivare mettere le mani avanti, abbassare le aspettative e poter dire poi “io l’avevo detto”. L’ha sempre fatto, continua a farlo anche all’Inter (e non è nemmeno la prima volta: già ad agosto, subito dopo il suo arrivo, aveva usato parole simili nel momento più difficile della trattativa per Lukaku). Solo che nel calcio piangere paga, ma non sempre. Nel merito Conte ha anche ragione. I limiti dell’Inter sono sotto gli occhi di tutti: una squadra che vuole lottare per lo scudetto non può avere come primo (e praticamente unico) cambio offensivo un ragazzino di 17 anni, predestinato o meno che sia. A centrocampo la coperta è corta e da quando si è fatto male Sensi si è spenta la luce (vedi scontro diretto contro la Juve). I nerazzurri rischiano di giocare in apnea fino a gennaio e perdere diversi punti decisivi per questo motivo.

Detto ciò, le ragioni di Conte finiscono qui. Perché che la rosa fosse questa lo si sapeva dall’inizio, né si poteva immaginare che l’Inter in estate comprasse più di quanto ha fatto. Certe cose Conte le può pensare, le può anche dire in privato a Marotta (sicuramente l’ha già fatto), ma pubblicamente sarebbe stato meglio tenersele per sé. L’unico risultato concreto è stato enfatizzare il pareggio col Parma, creare una cappa di negatività del tutto ingiustificata per una squadra che in campionato ha comunque totalizzato 7 vittorie nelle prime 9 gare e si è anche rimessa in carreggiata in Champions League con la vittoria contro il Borussia Dortmund. L’unica attenuante è che Conte non è il solo a farlo: anche il suo rivale principale, Maurizio Sarri, è uno specialista nel fare ammuina. Almeno in questo, sarà una bella lotta fino alla fine.

Twitter: @lVendemiale

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