Con Giuseppe Grillo, detto Beppe, condivido la frequenza della Scuola Elementare Guglielmo Marconi a Genova, che bazzicai un paio di anni dopo di lui. Sarà per questo motivo – una formazione sui generis, direbbe un comico – che non trovo sconveniente la sua proposta di cancellare gli anziani dalla lista degli elettori attivi: “Una volta raggiunta una certa età, i cittadini saranno meno preoccupati del futuro sociale, politico ed economico, rispetto alle generazioni più giovani, e molto meno propensi a sopportare le conseguenze a lungo termine delle decisioni politiche”.

Da “uno vale uno” alla castrazione elettorale mirata la strada non è breve. Ma non siamo oggi protagonisti di un’epica che esalta la velocità di pensiero, azione e comunicazione? Un archetipo che nessuna filosofia slow riesce a disturbare. E il ragionamento di Grillo non fa una grinza.

Gli anziani che non votano sono già molti. Qualcuno perché talmente vecchio da non muoversi più, nemmeno assistito. Altri, per lunga esperienza esistenziale, sono delusi dalla vita personale e collettiva; e, soprattutto, dalla vita politica: se non sono del tutto ostili alla politica, ne sono insoddisfatti. Da quando sono nati sentono proclamare da ogni governo, qualunque sia il colore, l’impegno riformatore ma, forse perché la memoria senile è un colabrodo frattale, non ricordano alcuna riforma che in Italia abbia trasgredito la legge di Murphy.

E quasi tutti gli anziani, compresi gli allievi della Scuola Elementare Guglielmo Marconi degli anni 50, sono un po’ nostalgici del tempo che fu, soprattutto se genovesi; quando non si calano addirittura nel ruolo di laudator temporis actis, il lodatore del tempo passato (Orazio, Ars Poetica), sottospecie del gufo di renziana memoria.

Nelle elezioni politiche del 2018, circa il 30% degli elettori non ha votato. Gli italiani degli anni Duemila sono meno affezionati al voto rispetto ai loro nonni del primo dopoguerra. Ma gli over-65 che si sono astenuti sono il 34%, contro il 30% dei potenziali votanti con meno di 34 anni; mentre solo il 28% della coorte di mezzo ha bigiato la cabina elettorale, forse perché più sensibile alla ruota del potere. Gli anziani si stanno già astenendo dal futuro, spontaneamente, sempre che la politica degli anni Duemila abbia davvero uno sguardo rivolto al futuro e non si limiti a svolgere il ruolo pur lodevole del commercialista, attrattore strano di molte politiche nazionali e internazionali del nuovo millennio. Greta Thunberg ha pochi dubbi in proposito.

Alle Europee di quest’anno, quasi il 44% degli italiani non ha votato. Non è andata diversamente nel resto dell’Unione, con un’astensione complessiva del 49,4%. Un cittadino europeo su due non vota, anche se, dopo anni di continua caduta, la tendenza si è invertita. L’affluenza della tornata precedente (2014) era stata inferiore al 43% e, dal 1994 in poi, si era sempre mantenuta sotto il 50%, laddove negli anni del sogno europeo votavano sei europei su dieci (62% nel 1979).

I giovani sotto i 25 anni hanno fatto la parte del leone in questo rilancio: +14 punti percentuali sul 2014. E pure i 25-39enni, con +12 punti percentuali rispetto al 2014, sono andati a votare in numero maggiore rispetto al passato. Al contrario, hanno votato meno anziani di sempre. In base all’indagine pubblicata dall’Eurobarometro, i giovani sono anche l’elettorato più mobile: chi ha meno di 24 anni, è indeciso su chi votare nel 45% dei casi; mentre il 74% degli anziani non ha esitazioni sul partito da votare. Se la solidità di pensiero rassicura, la liquidità è una dote indispensabile per costruire il futuro.

Finora, la discussione mediatica si è concentrata sul recinto dell’elettorato attivo, ma anche la stalla dell’elettorato passivo meriterebbe una strigliata, giacché pochi cittadini giudicano eccelsa la qualità dei loro rappresentanti. Al bar un anziano, distinto signore, mormorava sorseggiando il primo caffè di ieri mattina: “Va benissimo non far votare gli ultra-65enni, ma bisognerebbe escludere chi ha meno di 65 anni dall’elettorato passivo”.

Poiché un brivido mi ha percorso la schiena, già violentata dal tennis della sera prima, ho trangugiato il cappuccino tutto di un fiato, senza rispondere alla provocazione. E ho riflettuto di nuovo sul sorteggio dei rappresentanti del popolo, che ho sostenuto più volte su questo blog.

La democrazia aleatoria ha molti difetti, che crescono in ragione della scala di applicazione: ma ci sono ambiti dove la democrazia aleatoria è appropriata e più facilmente adottabile. Tra questi ci sono la magistratura e l’università, come sostengo in un libretto, Morte e Resurrezione delle Università, ora pubblicato anche in inglese. Qualcuno potrebbe dubitare che una Camera o un Senato di sorteggiati sarebbero preferibili agli assetti attuali. Ma siamo proprio sicuri che una forma di sorteggio dei legislatori, anche parziale o limitata alla quota dell’astensione, oscurerebbe la democrazia?

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