Concorrenza sleale nelle corse dei cavalli. A “barare” però non erano i fantini, ma proprio la Federazione italiana Sport equestri (Fise), che sfruttava il proprio ruolo per impedire a gruppi e enti di promozione di fare attività. E per questo è stata condannata dall’Antitrust: quasi mezzo milione di euro di multa. Una mezza stangata (la sanzione avrebbe potuto essere più salata), che mette comunque in apprensione i conti ballerini della Federazione, ma soprattutto costituisce un precedente per l’intero sistema sportivo italiano. Può essere una prima, piccola crepa nel monopolio delle Federazioni.

Lo sport in Italia, infatti, è una specie di piramide: in alto le Federazioni riconosciute dal Coni, una per disciplina, che si occupano dell’attività agonistica; in basso una miriade di enti, società, associazioni, libere di promuovere l’attività amatoriale. Per fare un esempio sull’ippica, è la differenza fra le gare ufficiali del calendario federale e le migliaia di manifestazioni sul territorio. Lo stesso vale per corse podistiche e ciclistiche, tornei di tennis e così via. Una definizione vera di agonismo, però, non è mai stata fatta: ovvio che sorgessero dei problemi tra chi può fare cosa. Specie se le Federazioni tentano di allargarsi.

È quello che ha fatto la Fise, “quantomeno a partire da luglio 2017”, come spiega l’Agcm. In questo caso sul tavolo dell’Antitrust era finita una contestazione specifica, mossa dal Gruppo italiano attacchi (Gia) e dall’Asi, uno degli enti di promozione principali, un tempo costola del Movimento sociale, oggi vicino alla Lega, il presidente è il senatore Claudio Barbaro. Il Garante ha indagato a lungo – con tanto di ispezioni in cui ha trovato mail compromettenti – e ha confermato l’accusa. Nel fascicolo c’è di tutto: “modifiche regolamentari” per restringere gli ambiti, lettere di diffida a circoli, tesserati, operatori. Addirittura “procedimenti disciplinari”, come accaduto a una istruttrice squalificata per aver “osato” fare lezioni fuori dall’orbita federale. Un “grave abuso di posizione dominante”, che è stato adesso ufficialmente condannato: “La strategia anticoncorrenziale realizzata da Fise ha consentito alla Federazione di estendere l’ambito di attività agonistica con impatti negativi e grave pregiudizio alla concorrenza”, si legge nel dispositivo. “La violazione risulta grave in quanto posta in essere nella sua qualità di organizzazione riconosciuta da Coni proprio al fine di promuovere e disciplinare l’attività equestre in Italia”.

Insomma, la Fise doveva promuovere l’ippica ma di fatto la ostacolava. Non solo per prestigio ma per interesse: le gare sono un business, fra quote d’iscrizione e montepremi. Ricondurle tutte nella grande casa federale significa poi aumentare i tesserati, uno dei criteri principali in base a cui vengono distribuiti i finanziamenti pubblici. Da anni è in corso uno scontro fra Federazioni e enti per la conquista di questo terreno. Il Coni aveva cercato (timidamente) di fare chiarezza fra i rispettivi ambiti di competenza ma non ci è mai riuscito. Ora ci pensa l’Antitrust.

La multa per la Fise è una (mezza) stangata: la sanzione avrebbe potuto essere anche maggiore ma l’Agcm ha calcolato l’importo solo sul fatturato relativo alla specialità incriminata (tra 1 e 5 milioni) e non su quello totale, superiore ai 20 milioni. In quel caso sarebbe stato un salasso, quasi da fallimento. Anche così però 450mila euro sono un duro colpo per una Federazione che in passato è stata commissariata per i buchi in bilancio ed è tuttora in fase di risanamento (sta ancora restituendo al Coni i soldi): per il 2019 era fissato l’obiettivo di un utile di 600mila euro, sarà difficile raggiungerlo a questo punto. Il presidente Marco Di Paola ha già annunciato ricorso: “I legali sono a lavoro poiché ritengono che nel provvedimento siano presenti diversi profili e interpretazioni non condivisibili, che penalizzerebbero la professionalità degli istruttori e dei tecnici federali e che non tutelano gli enti affiliati alla Federazione”, spiega una nota. Ancor più rilevanti però potrebbero essere le conseguenze generali della sentenza. Lo sport in Italia non lo fanno sono le Federazioni: è questo il messaggio dell’Antitrust. E dal ciclismo alla danza, giusto per fare degli esempi, in tanti dovranno tenerne conto.

Twitter: @lVendemiale

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