Questa settimana potrebbe rappresentare l’inizio della fine del conflitto in Yemen. Dal punto di vista militare la situazione non è positiva, anzi, il conflitto sembra intensificarsi. Gli Houthi affermano di avere guadagnato terreno e di avere esercitato una pressione militare sostanziale sull’Arabia Saudita. I sauditi, d’altra parte, sono ben equipaggiati a ricambiare e a riguadagnare terreno militarmente, avendo beneficiato da diversi anni dell’export di armi, incluse quelle provenienti dall’Italia.

La devastazione causata dal conflitto è adesso ben visibile. All’incirca 40 bambini muoiono ogni giorno a causa dei raid aerei e dalla carestia, questa sofferenza sembra non avere una fine. Nonostante la recente intensificazione qualcosa sta però cambiando. Le persone di tutto il mondo si sono riunite e insieme stanno mettendo pressione su Arabia Saudita, Emirati Arabi e i loro alleati yemeniti, ma anche sui ribelli Houthi, affinché si riuniscano intorno al tavolo dei negoziati e firmino un accordo di pace. La petizione internazionale su Change.org per porre fine al conflitto e alla carestia in Yemen, nel frattempo, ha già raggiunto quasi 850mila firme, riunendo sostenitori da Italia, Turchia, Francia, Germania e Regno Unito.

Anche i bambini yemeniti si stanno dando da fare. Hanno recentemente lanciato una campagna – #FastActionForYemen – invitando le persone a unirsi a loro per porre fine al conflitto e alla carestia. Hamza, 9 anni, attraverso un video su Change.org per il suo compleanno ha chiesto di unirsi a lui saltando un pasto al giorno per tre giorni e twittando una foto di se stessi con un piatto vuoto per richiamare l’attenzione di tutte le parti interessate nel conflitto. Tantissimi bambini yemeniti hanno accolto il suo invito.

Visti gli scarsi risultati, gli adulti si stanno forse cullando all’idea di lasciare la situazione nelle mani dei bambini – ma le loro voci dovrebbero invece spronare tutti noi ad agire. Le persone di tutto il mondo stanno adesso twittando rivolgendosi ai sauditi, agli Emirati Arabi e agli altri attori yemeniti coinvolti nel conflitto, inclusi i vari ministri degli esteri come ad esempio Luigi Di Maio, chiedendo loro di porre fine alla guerra.

Il conflitto è arrivato ad un punto morto, bisogna adesso focalizzarsi sulla risoluzione e sulla ricostruzione delle tante vite devastate nel corso di questi anni – non potendo più andare a scuola, c’è un’intera generazione a cui è stato rubato il futuro.

Il supporto incondizionato all’Arabia Saudita da parte dell’America sta anch’esso scemando. Durante il completamento del 2020 National Defense Authorization Act, una coalizione di organizzazioni ha messo pressione al Congresso per limitare l’intervento americano in Yemen e proibire la vendita delle armi americane, che vengono utilizzate in questo conflitto, all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi.

Sebbene possa sembrarci difficile immaginare che la vita di un singolo giornalista possa provocare più indignazione delle vite di 200mila yemeniti, quest’anno si commemora inoltre il primo anniversario della morte di Jamal Khashoggi, brutalmente assassinato all’interno dell’ambasciata saudita a Istanbul. Il Washington Post gli ha dedicato fiumi di parole nei quali far sprofondare, per la vergogna, il governo americano per essere stato complice dei crimini di Muhammad bin Salman. Questi crimini, più di tutti gli altri, mostrano la crudeltà e l’indifferenza che il regime saudita ha per il diritto alla vita e ha scagliato l’opinione pubblica americana contro il supporto saudita in Yemen.

Solo ieri, gli Houthi hanno consegnato 350 prigionieri alle Nazioni Unite, segno che le porte dei negoziati non sono chiuse. Anzi, il leader degli Houthi ha espresso il desiderio di negoziare direttamente con l’Arabia Saudita e raggiungere un accordo di pace. In seguito all’enorme adesione alla petizione, durante il corso di quest’anno Change.org ha portato le preoccupazioni circa le condizioni umanitarie del paese provenienti dagli utenti alle orecchie della stampa internazionale e supportato mediatori yemeniti come Hakim Almasmari nel loro lavoro; gli stessi mediatori hanno rimarcato la centralità dei diritti umani durante i negoziati di pace di fine 2018 a Stoccolma.

I presupposti per una pace duratura ci sono tutti – abbiamo già visto durante le diverse fasi del conflitto che la pressione esercitata dal pubblico è stata essenziale per garantire che le parti coinvolte si riunissero per attivare i negoziati. Adesso è arrivato il nostro momento, stringiamoci intorno ai bambini dello Yemen che chiedono un #FastActionforYemen – e restituiamogli un futuro.

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