Centocinquanta milioni di dollari in dieci anni: è quanto la Norvegia pagherà al Gabon affinché quest’ultimo preservi le proprie foreste equatoriali. Il Gabon sarà così il primo paese africano a ricevere denaro per proteggere il suo oro verde e lottare contro la deforestazione. L’idea innovativa è quella di ricompensare il paese per le emissioni nocive “sequestrate” dall’aria grazie all’azione delle sue aree verdi. Ma gli ambientalisti sono critici, anche perché i fondi relativi a un accordo simile stipulato in passato non si sono mai visti. E i fondi sono vincolati a condizioni che il Paese africano non riesce a rispettare.

Il territorio del Gabon, paese dell’Africa centrale affacciato sull’Atlantico, è infatti per quasi il 90% coperto da foreste, che sono parte del secondo “polmone della terra” dopo quello amazzonico: la foresta equatoriale dell’Africa centrale, estesa all’incirca quanto l’Europa occidentale. Da qualche anno in Gabon le autorità hanno avviato una politica di protezione dell’ambiente, bene centrale nell’economia del paese, con i suoi 13 parchi nazionali e le sue 20 aree marine protette. Ma questo bene così prezioso è a rischio sfruttamento.

Lo scorso febbraio Libreville era stata scossa da uno scandalo ad alto livello, quando erano stati confiscati 350 container di palissandro (di cui è vietata l’esportazione dal 2018), diretti in Cina con falsa etichettatura del ministro dell’ambiente. Un carico da oltre 250 milioni di dollari. Un mese dopo, i container sequestrati erano spariti. Ne furono ritrovati solo 200. Si scoprì così un caso di corruzione e malaffare che spinse il presidente Ali Bongo a cacciare il vicepresidente Pierre Claver Maganga e il ministro dell’ambiente Guy Bertrand Mapangou.

Al posto di quest’ultimo, fu nominato Lee White, britannico naturalizzato gabonese, che per dieci anni era stato direttore dell’Agenzia nazionale del parchi nazionali (ANPN) e si era battuto per la conservazione dell’enorme ricchezza verde del Gabon. È in questo contesto che la decisione senza precedenti della Norvegia prefigura un punto di svolta nella lotta alla deforestazione e al contrabbando di legname pregiato: il pionieristico contratto, firmato alla vigilia del summit sul clima a New York, è stato sostenuto dalla Cafi, l’Iniziativa per la foresta dell’Africa Centrale, un organismo lanciato dall’Onu che riunisce i paesi dell’Africa centrale e i finanziatori occidentali e di cui la Norvegia è fra i principali azionisti. Il contratto punta alla “riduzione delle emissioni di gas serra dovuti alla deforestazione e al degrado” e promuove “l’assorbimento del biossido di carbonio da parte delle foreste naturali”. È in tale quadro che la Norvegia ha deciso di dar vita a questo accordo “storico”, come lo ha definito la stessa Cafi, e che gli organi di stampa di mezzo mondo hanno annunciato con toni entusiasti.

Ma è tutto così limpido e lineare? Ilfattoquotidiano.it ha interpellato in proposito Franck Ndjimbi, ambientalista gabonese, consulente per la governance ambientale e forestale, ma anche oppositore dell’eterno presidente Ali Bongo. Il suo punto di vista è decisamente critico. Ci spiega che nel 2017 era già stato stipulato un primo accordo fra Gabon e Norvegia, per 10 milioni di dollari. Ma finora di quella prima fase del progetto non si visto ancora nulla.

“Anzitutto – argomenta Ndjimbi – i fondi assegnati dal programma Cafi con quel primo accordo vengono amministrati dall’Afd, l’Agence francaise de developpement, che ha finora bloccato l’avvio della prima fase per problemi procedurali. In secondo luogo, qualche tempo fa l’Afd aveva amministrato dei fondi francesi usciti dall’accordo di conversione del debito fra Gabon e Francia e pare che non fosse stata soddisfatta della gestione da parte del Gabon. Dunque, sui fondi norvegesi che le sono stati affidati in gestione, e che non sono suoi, pone condizioni ancora più stringenti, che il Gabon non riesce a rispettare. Ma a questo punto tutti si domandano come possa partire la seconda fase del progetto Cafi se la prima è ancora ferma”. E ancora non è stato reso noto se la seconda trance di finanziamenti, ben più cospicua della prima, sarà ancora affidata all’Afd o a un altro ente, ad esempio la Banca Mondiale.

“C’è poi lo scandalo dei container spariti – aggiunge Ndjimbi –: non sappiamo fino ad oggi dove siano finiti, nessuna inchiesta, nulla. Lo stesso governo ha parlato di corruzione nella gestione delle foreste, come possiamo fidarci ora?”. Chiediamo se almeno con il nuovo ministro dell’ambiente si possa sperare in una svolta: “È troppo presto per giudicare, ma posso dirvi due cose: due o tre anni fa, quando era direttore dell’Anpn, si era battuto perché il Gabon aderisse alla convenzione contro il commercio delle specie in pericolo. Ora è ministro e qualche giorno fa ha annunciato che il Gabon potrà riprendere lo sfruttamento. Non solo: per dieci anni ha gestito i parchi nazionali gabonesi, al termine del mandato gli abbiamo chiesto i bilanci e rifiuta di fornirli”.

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