Oltre 2mila decessi per ebola su 3.100 contagi. La mortalità dell’epidemia in corso nella Repubblica democratica de Congo è del 67 per cento. Anzi, è ferma al 67%. Stessa percentuale di quella che fra il 2014 e il 2016 falcidiò l’Africa occidentale. Solo che nel frattempo sono cambiate le cure. Oggi esiste un vaccino con una buona efficacia. E allora, perché i dati restano così drammatici? “I vaccini ci sono, ma l’OMS ne limita l’utilizzo: come spegnere un incendio con un bicchiere d’acqua al giorno”: così denuncia Medici senza frontiere, che con inusuale durezza chiede conto all’Organizzazione mondiale della sanità dei ritardi nella distribuzione dei vaccini, accusandola di “mancata trasparenza sulle forniture”.

MSF chiede apertamente l’istituzione di un comitato internazionale indipendente sui vaccini, in maniera da poter gestire la risposta all’epidemia in modo collegiale e favorire una gestione più trasparente del programma di vaccinazione. Ciò che allarma MSF è la constatazione del ritorno del virus in zone nelle quali non si registravano più casi. Segno evidente che la copertura vaccinale non è stata sufficiente e che parte delle persone che ne avrebbero avuto bisogno non erano state sottoposte a immunizzazione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità si è finora giustificata ricorrendo al principio di precauzione e sostenendo di applicare un “protocollo rigoroso” per un vaccino “ancora sperimentale”.

Ad oggi sono circa 225mila i pazienti trattati con l’rVSV-ZEBOV, il vaccino prodotto dalla Merck. Questo numero resta però ampiamente insufficiente: un calcolo approssimativo stima fra 450mila e 600mila le persone che avrebbero dovuto essere vaccinate, perché venute potenzialmente a contatto con i malati. Secondo MSF, si dovrebbero vaccinare 2mila-2500 persone al giorno anziché le 500-1000 attuali.

Ilfattoquotidiano.it ha interpellato Francesco Segoni, responsabile della comunicazione ebola per MSF Francia: “La vaccinazione è il cuore della risposta al virus. Ad oggi, la gestione è stabilita unicamente dall’OMS. Noi non abbiamo autonomia decisionale. L’OMS sceglie dove e chi vaccinare, in base a liste nominali che secondo noi sono largamente incomplete: si tiene un elenco delle persone entrate in contatto con i malati e solamente loro hanno diritto alla somministrazione. Noi vorremmo vaccinare su più vasta scala, anche perché nella regione interessata, il Nord Kivu, la popolazione si sposta molto e tanti rischiano di non essere rintracciabili. In tal modo l’epidemia non si arresta. Alle nostre équipe vengono fornite due fiale al giorno e così capita che chi – ascoltando le campagne informative – viene nei nostri centri per ricevere l’immunizzazione, si sente dire che il vaccino non è disponibile, o che deve aspettare fino a sera per vedere se ne avanzerà una dose. Assurdo.”

Gli sforzi per aumentare l’accesso alla vaccinazione e per convincere la popolazione a sottoporvisi si scontrano ora con gli stretti controlli sulle forniture e i criteri di eleggibilità imposti dall’OMS. “Le équipe di vaccinazione di MSF in Nord Kivu sono spesso rimaste in attesa di ricevere una manciata di dosi riservate a persone incluse in una lista predefinita”.

Fino a non molto tempo fa, non era noto quante dosi di vaccino fossero disponibili. L’informazione era tenuta riservata dalla casa produttrice e dall’OMS. Ma di recente la Merck ha reso noto che oltre alle 245mila dosi già consegnate all’OMS, è pronta a spedirne altre 190mila se richieste e che ulteriori 650mila saranno disponibili nei prossimi 6-18 mesi.

Non solo: il governo congolese ha annunciato di voler introdurre un secondo vaccino, prodotto dalla Johnson & Johnson, che lo Strategic Advisory Group of Experts (SAGE) ritiene sufficientemente sicuro. Si sta ipotizzando un uso complementare dei due vaccini, riservando quello della Merck alla prima linea e utilizzando il secondo per offrire una copertura alla popolazione in seconda linea.

Medici senza Frontiere chiede dunque con forza l’istituzione di un comitato internazionale e indipendente di coordinamento: “In maniera che nessuno – argomenta Segoni – abbia la gestione esclusiva della risposta all’epidemia, lasciando gli altri all’oscuro, e che si avvi una gestione trasparente, collegiale, alla quale anche noi che siamo in prima linea possiamo contribuire con l’esperienza fatta sul campo”.

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