Boris Johnson dice da settimane che sul piano della trattativa con Bruxelles “ci sono stati dei progressi” e che al vertice Ue del 17 ottobre ci sarà modo di ridiscutere dell’accordo di uscita. Ora però Bruxelles lo mette di fronte a una tempistica precisa: Londra ha 12 giorni per presentare una proposta scritta sulla Brexit, altrimenti “è tutto finito“. Tradotto: il Regno Unito uscirà dall’Unione europea in modalità no deal. E’ il premier finlandese Antti Rinne, che ricopre la presidenza di turno dell’Unione europea, a dettare da Parigi al primo ministro britannico quello che ha tutta l’aria di un ultimatum, aggiungendo di aver concordato questa linea con il presidente francese Emmanuel Macron: “Siamo stati entrambi d’accordo sul fatto che è arrivato il momento che Johnson produca per iscritto le sue proposte, se esistono – ha detto – Se non avremo ricevuto proposte entro la fine di settembre, allora è finita”.

Downing Street, da parte sua, ha respinto “la scadenza artificiale” del 30 settembre, ha detto un portavoce, precisando che Johnson non intende accettare ultimatum e continua a guardare al Consiglio Europeo del 17-18 ottobre come il termine ultimo per un’intesa. Intesa di divorzio che per Londra dovrebbe essere senza backstop, la clausola di salvaguardia per le frontiera tra Irlanda e Irlanda del Nord nel caso in cui al termine del periodo di transizione Londra e Bruxelles non trovino un accordo sulla questione. Il premier ha insistito poi che il 31 ottobre il Regno uscirà comunque dall’Unione.

La Commissione Ue, ha fatto sapere oggi la portavoce Mina Andreeva, ha ricevuto alcuni documenti scritti dal Regno Unito e su questa base ci sarà una discussione tecnica su aspetti come dogane e norme fitosanitarie. La discussione, ha aggiunto, prosegue anche a livello politico, con il confronto previsto sabato tra il capo negoziatore dell’Ue Michel Barnier e Stephen Barkley, ministro britannico per la Brexit.

“Il Regno Unito non ha messo sul tavolo fino ad ora alcuna proposta concreta, eppure continua a mettere paletti”, ha sottolineato mercoledì Tytti Tuppurainen, ministro degli Affari europei nel dibattito al Parlamento europeo sulle trattative con il Regno Unito. Anche Barnier ha usato toni solenni: “A tre anni dal referendum siamo al momento della verità“, ha detto il capo negoziatore Ue. “La situazione è grave”, ha aggiunto il francese e le “conseguenze sono maggiori di quello che si dica”. Lo scenario di un’uscita di Londra senza un accordo è più che mai “reale”, precisa poi il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker che lunedì ha incontrato Johnson a Lussemburgo.

Al di là delle buone intenzioni, l’Unione europea aspetta ora “idee concrete, dettagliate e operative” per uscire da questa situazione di stallo. “Uno scenario da no-deal sarebbe totalmente responsabilità” di Londra, ribadisce la risoluzione approvata a larga maggioranza dal Parlamento al termine del dibattito; un documento che ricorda come “gli obblighi finanziari” verso l’Ue “continueranno ad esistere” anche nello scenario di un’uscita del Regno Unito. “Non sarà approvato nessun accordo che non preveda il backstop o un “meccanismo alternativo di salvaguardia” sottolinea ancora la risoluzione.

Intanto la Corte Suprema britannica si riunisce per la terza udienza del procedimento destinato a decidere sulla legittimità del contestato atto con cui il governo ha chiesto e automaticamente ottenuto dalla regina una sospensione del Parlamento fino al 14 ottobre, nel pieno della crisi sulla Brexit. La data del verdetto finale non è stata annunciata. I giudici devono riconciliare due verdetti contrapposti: quello dell’Alta Corte di Londra, che si è rifiutata di mettere in questione l’operato del governo dichiarandosi incompetente e respingendo un ricorso di attivisti pro Remain guidati da Gina Miller; e quello dell’Alta Corte di Scozia che al contrario ha bollato in appello come illegale il comportamento del premier, accusandolo d’aver usato in modo improprio un mezzo politico pur legittimo nel Regno come quello della sospensione (prorogation). Ieri è stata la volta degli avvocati chiamati ad argomentare a favore delle due sentenze opposte. Oggi tocca alle parti terze ammesse, incluso l’ex premier John Major, favorevole al ricorso Miller.

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