A Citè Ettadhamen avvicinare qualcuno per strada e fare domande ‘politiche’ alla vigilia del voto per eleggere il successore del Presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi, morto il 25 luglio scorso a 93 anni, non è compito agevole. Il cuore commerciale e turistico della capitale dista una decina di chilometri da qui, una delle banlieue più pericolose di Tunisi, più volte al centro di retate antiterrorismo da parte di polizia e militari. L’unico modo è sedersi ad uno dei caffè lungo la strada principale. E proprio oggi, nel giorno in cui si svolge il primo turno, è morta la vedova di Essebsi, Chadlia Caid Essebsi, ricoverata all’ospedale militare di Tunisi da sabato 14 settembre.

Attorno l’abbandono e il degrado assoluto di una parte di città in disfacimento, colpita anche dalle piogge torrenziali che a inizio settimana hanno causato morti e danni. Non è certo la sola. Stando a queste immagini, l’atteso balzo in avanti la Tunisia del post Ben Ali e dei totem del passato pre-rivoluzione dei gelsomini, nel gennaio 2011, non c’è stato: “Votare alle elezioni? Il giorno che le cose inizieranno davvero a cambiare ci farò un pensierino. Qui è una lotta per sopravvivere, altro che politici”. Lui è un uomo sulla trentina, ridotto abbastanza male dai morsi di una vita difficile. Non vuole fornire le generalità e soprattutto farsi fotografate. Yousef ha i capelli grigi e meno pensieri. La sua parte l’ha fatta, ma il brutto viene adesso: “Io vado avanti, il problema sono i miei figli – afferma cercando di farsi spiegare in un francese stentato -. I giorni della rivoluzione abbiamo davvero sperato che le cose potessero andare meglio, ma non è stato così. Si guardi intorno”.

In effetti lo scenario è tutt’altro che edificante. L’imponente massa d’acqua caduta martedì ha sommerso le zone disagiate e contribuito a disperdere tonnellate di spazzatura. Così a Citè Ettadhamen, così a Sayda el-Manoubia, Jbel Lahmar, Hay el-Akrad. Dire che il processo democratico in Tunisia dopo la cacciata di Zine el-Abidine Ben Ali e dopo le prime elezioni dall’entrata in vigore della nuova Costituzione, nel 2014, sia fallito è assolutamente ingeneroso. Analizzando i processi nei Paesi vicini, tra il non-Stato libico, la fine dei diritti umani in Egitto e le macerie siriane, nella terra dell’eroe berbero e anti-coloniale, Habib Bourghiba, qualche frutto si è visto.

Le presidenziali sono caratterizzate da grande incertezza e scetticismo. Primo dubbio: quanti dei 6,7 milioni di tunisini aventi diritto si recheranno effettivamente alle urne? Il cambio del calendario elettorale provocato dalla morte del presidente Essebsi, passato attraverso oltre mezzo secolo di storia politica, potrebbe giocare un ruolo decisivo. Inizialmente le presidenziali erano state fissate per il 17 novembre, dopo le legislative del 6 ottobre considerate le vere elezioni politiche in Tunisia. La morte di Essebsi ha stravolto i piani. Compresi quelli dei 26 candidati che sono riusciti a sfuggire al taglio dell’Isie (Instance Supérieur Indépendent pour les Elections), la commissione elettorale, dopo la presentazione di ben 97 documentazioni. C’è poi il secondo, grande punto interrogativo: chi saranno i due finalisti che si sfideranno nel ballottaggio di inizio novembre? Tra gli ‘epurati’ dalla Commissione anche Mounir Baatour, gay dichiarato e difensore della causa Lgbt. Nonostante la delusione lui a votare oggi ci andrà: “Certo, farò il mio dovere e voterò per Karoui, uno dei pochi a difendere i diritti Lgbt e impegnato nella battaglia. Il suo arresto? Una farsa puramente politica per metterlo a tacere”.

Nabil Karoui, chiamato il Berlusconi del Nord Africa per la sua grande passione verso l’editoria (è proprietario di un canale, Nessma Tv) e per il patrimonio, è finito in carcere il 23 agosto scorso con le accuse di riciclaggio e frode fiscale, non certo per aver guidato senza cinture, anche se per vicende datate. La Commissione ha confermato la sua candidatura, però la campagna elettorale Karoui l’ha fatta dal carcere di Mornaguia, tra i detenuti comuni. Molti, sondaggi compresi, lo danno tra i favoriti, addirittura come terzo incomodo tra l’establishment che ha guidato la presunta rinascita post-rivoluzionaria della Tunisia. Due i blocchi forti, da una parte gli islamisti di Ennahda e del suo potente candidato Abdelfattah Mourou, tra i fondatori del partito, dall’altra il primo ministro uscente, Youssef Chaed, fuori per queste elezioni da Nidaa Tounes (Appello della Tunisia) e fondatore di Tahya Tounes (Viva la Tunisia). Una mossa che potrebbe però costargli caro. Sia Mourou che Chaed sono i personaggi di spicco di queste presidenziali, ma non a tutti piacciono: “Se al ballottaggio arriveranno quei due (Mourou, Chaed e Karoui, nr.) sarebbe un disastro, la riconferma del fallimento del sistema corrente – attacca Younas Marzouki, insegnante in una scuola di Kasserine, città e provincia di frontiera a ovest, di recente teatro di attacchi e scontri con fazioni terroristiche -. Chi reclama i diritti è fuori dalla corsa e questo è scandaloso in un Paese che afferma di essere democratico. La prima cosa da fare è liberarci dagli estremismi, ma ci vorrà un cambiamento graduale. La mia alternativa? Il meno peggio e credo l’unico in grado di cambiare il sistema potrebbe essere Abdelkarim Zbidi”.

Ossia il Ministro della Difesa del governo Essebsi. L’uomo dal pugno duro, il militare in grado di contrastare l’ondata di terrorismo che dal 2015, dalla strage del Museo Bardo, ha insanguinato la Tunisia che, non va dimenticato, è stato il primo Paese ‘esportatore’ di foreign fighters nella guerra in Siria ed Iraq. È lui, tra le altre cose, ad aver firmato l’ordine di arresto per Nabil Karoui. Poteva mancare la nostalgia per Ben Ali, il dittatore alla guida della Tunisia per oltre 33 anni? A rappresentare la nostalgia per i tempi andati – e non è detto che non torneranno – è soprattutto una donna, Abir Moussi, fervente anti-islamista. A proposito di diritti per i gay, ha fatto scalpore una sua recente proposta lanciata in campagna elettorale: rifiutare la depenalizzazione dell’omosessualità. Paradossale il suo attacco a Ennahda, accusato di essere rimasto ultraconservatore, e poi basare la sua candidatura su posizioni tutt’altro che progressiste.

Pochissime chance di successo per Mohamed Abbou, anch’egli ministro nel precedente governo, Selma Elloumi Rekik, l’altra candidata donna e Ministra del Turismo fino al 2018. Infine i due estremi dello schieramento politico: l’indipendente Kais Saied, reazionario di destra, portavoce dei più conservatori, ostile all’uguaglianza tra uomini e donne, si mostra fiero rappresentante dei tunisini onesti e integri, contro gli sprechi; e poi Hamma Hammami del Fronte Popolare, considerato il comunista dissidente, leader del Partito dei Lavoratori, movimento di estrema sinistra. Intanto al Media Center, affacciato su La Marine di Tunisi, l’atmosfera per la delicata tornata elettorale cresce. Sabato sera la conferenza stampa di chiusura da parte del direttivo dell’Isie sui meccanismi di voto. Qui, nella sede di mostre e fiere, tra martedì e mercoledì, saranno resi noti i nomi dei due candidati per il ballottaggio.

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