Tanta Europa. Non per sfidarla, ma per cambiarla da dentro. Ci sono un rapporto ristabilito e rinsaldato con Bruxelles, certo, l’apertura di credito personale ricevuto dai leader. Ma c’è anche ciò che il nuovo governo cercherà di modificare nell’Unione Europea: la politica economica, finalmente più rivolta agli investimenti e alle iniezioni per la crescita, ma anche quella sulle migrazioni che è uno dei punti fissati nella sua agenda dalla presidente della commissione Ursula von der Leyen (e che è tradotto con riforma dei trattati di Dublino). Insomma: un “europeismo critico“. Tanta economia: la blindatura dei conti (l’aumento Iva incombe), la crescita (perché poi non è stato proprio “un anno bellissimo”), ma anche l’equità, che passa dall’archiviazione della flat tax leghista per dare spazio al taglio del cuneo fiscale. E infine un manifesto di stile: il minimo sindacale di regole per stare nelle istituzioni e in particolare al governo insieme, senza canti e controcanti, senza “sgrammaticature” che invece fino a qualche mese fa erano il segno di riconoscimento del vecchio alleato, abbattuto col faccia a faccia del Senato il 20 agosto. Si puntellerà su questi picchetti il discorso per il secondo insediamento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: 15 mesi dopo sarà alla Camera e non più al Senato. Molte cose sono cambiate: da “avvocato del popolo” – come si definì in quella prima uscita pubblica del giugno 2018 – Conte è lievitato fino a spogliarsi di un ruolo difensivo (l’avvocato difende) e assumere il ruolo di un punto di riferimento delle cancellerie europee e contemporaneamente per larga parte dell’opinione pubblica, a vedere i sondaggi che hanno cifre record simili a quelle di Matteo Renzi tra il 2014 e il 2015 (e finì come sanno tutti). Conte è chiamato a caricarsi sulle spalle anche un po’ di quel peso dovuto allo scetticismo di una buona parte degli elettori, non troppo convinti dell’operazione costituzionale ma senza passaggio alle urne che ha portato alla formazione (legittima) del nuovo esecutivo.

Alla Camera oggi l’attesa sarà più per le parole del capo del governo, ora molto più capo del primo giugno 2018 quando giurò per la prima volta nelle mani del presidente della Repubblica, che non per l’esito del voto dell’assemblea di Montecitorio. L’esito è scontato e sarà solo un problema di registrazione del risultato negli annali: la maggioranza tutta nuova di Pd, M5s, Leu e un pezzo di gruppo misto dovrebbe galleggiare intorno a quota 350, dunque oltre trenta voti più del necessario.

Le parole chiave del discorso di Conte, anticipano giornali e agenzie di stampa, saranno sviluppo, investimenti, crescita. E si intrecceranno con il rinnovato soffio europeo del nuovo esecutivo. Il compito si annuncia meno complicato di un anno fa, per molti motivi. Tra questi il fatto che non ci sono le elezioni europee alle porte, ma soprattutto che anche altri Paesi ora devono ascoltare quello che i Paesi del Sud Europa dicono da tempo, cioè che serve cambiare rotta sull’impronta alla politica economica. Tra questi c’è la Francia che già ieri ha voluto mandare segnali di rappacificazIone al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, dimenticando le polemiche di un anno intero tra accuse di neocolonialismo e sostegno ai gilet gialli. Ma soprattutto la Germania che ha più di un affanno su diversi indici economici.

Un assist grande così è arrivato sabato anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che nel messaggio al Forum Ambrosetti di Cernobbio ha parlato di tassazione per le multinazionali in nome dell’equità, ma anche di un riesame del patto di stabilità. Si tratta di una linea che mette in asse Palazzo Chigi con il Palazzo del Quirinale visto che Conte aveva detto la stessa cosa – sottoforma di impegno del governo – nell’intervista alla festa del Fatto Quotidiano alla Versiliana, lo scorso fine settimana.

Insomma, la critica all’Europa sarà più uno stimolo a cambiare per farne un’istituzione “più solidale, equa, giusta, vicina ai cittadini”. La controprova sta nella costruzione della squadra di governo che ha al ministero dell’Economia un esperto contrattatore delle istituzioni europee, Roberto Gualtieri, e agli Affari europei Enzo Amendola, altro democratico, per non dimenticare l’indicazione di una figura autorevole anche fosse solo per curriculum come Paolo Gentiloni come commissario europeo. Il sovranismo, insomma, è ormai un puntino all’orizzonte. Certo, una partita non da poco sarà il rapporto interno alla maggioranza, i cui due partiti principali fino a venti giorni fa si trattavano da appestati. Il primo test di tenuta sarà quello del 27 settembre, quando scade il termine per l’approvazione del Documento di economia e finanza, il secondo la legge di bilancio da presentare entro il 15 ottobre.

Se dal discorso programmatico potrebbero entrare i progetti di riforma costituzionale su cui si sono accordati Pd e M5s, è probabile che Conte dedichi dei passaggi a settori o categorie che meritano più attenzione. Tra questi ci sono i terremotati del Centro Italia e i disabili – che il presidente del Consiglio ha incontrato durante i giorni di consultazioni con i partiti -, ma anche i giovani. E così ci saranno le prime spinte sulla manovra, a partire da scuola, università e ricerca (temi che più di altri legano le linee politiche dei due partiti principali di maggioranza) ma anche innovazione: Conte ci punta e lo ha sottolineato nominando una ministra ad hoc, Paola Pisano. Non è escluso che dopo i voti di fiducia di Camera e Senato i primi atti del capo del governo siano legati proprio al “copione” del suo discorso con visite alle aree colpite dal sisma del 2016 e a Bruxelles, prima della tradizionale partecipazione alla Fiera del Levante di Bari.

Diversa sarà la giornata di domani, martedì, quando un occhio in più sul tabellone luminoso del Senato dovrà essere dato. Niente che faccia temere – come sottolineano dalla squadra ministeriale del M5s -, ma lì fluttua il no di Gianluigi Paragone che nei giorni scorsi ha detto di essere convinto di non essere solo in questa posizione critica, mentre dal gruppo misto i voti che dovrebbero venire in soccorso non sono ancora tutti sicuri. Nemmeno da chi, come il senatore Gregorio De Falco (espulso dai Cinquestelle perché votò contro i decreti Sicurezza), è stato tra quelli che più avversato le politiche di destra di Salvini. “Prima ascoltiamo Conte e poi decidiamo” avverte il capitano. La maggioranza dovrebbe comunque avere una decina di voti in più della maggioranza assoluta.

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