Qualche giorno fa Alia, la più grande società toscana che gestisce i rifiuti urbani, ha invitato i cittadini a mettere i rifiuti in bioplastica nel contenitore dei rifiuti non differenziati. Questo ha colto molta gente di sorpresa: come è possibile che un materiale “bio” non si possa riciclare? Il risultato è stato una bella polemica estiva in cui Alia è stata accusata di incompetenza, impreparazione e varie altre nefandezze. Ma, ahimè, quando si parla di rifiuti, le cose non sono mai come uno si aspetta. La bioplastica non è e non può essere il toccasana che poteva sembrare. E il problema non è solo toscano: è lo stesso in tutta Italia.

Cominciamo col dire che il riciclo dei rifiuti organici urbani richiede impianti complessi e costosi. Tutti gli anni porto i miei studenti a visitare gli impianti di compostaggio di Alia vicino a Firenze. E’ un’esperienza formativa: possono toccare con mano (letteralmente) e anche annusare di persona i rifiuti durante i vari stadi del processo. Si rendono anche conto di quanti maleducati ci sono in giro che buttano ogni sorta di robaccia nel contenitore dell’organico, dalle scarpe ai palloni da calcio. Tutte cose che vanno laboriosamente separate dal vero organico prima di avviarlo alle celle di compostaggio. Ma gli impianti funzionano e producono compost di buona qualità. E’ un bel passo avanti verso il concetto di “economia circolare”.

Ovviamente, gli impianti di compostaggio non possono riciclare la plastica ordinaria, quella prodotta con i combustibili fossili. Per quella esiste un’altra filiera separata, ma con grossi limiti pratici. Un problema è che non riusciamo a riciclare più del 25% della plastica in commercio. E siccome si parte da materiali non rinnovabili, non è veramente un ciclo: la plastica la possiamo riutilizzare solo una volta, forse due, ma non di più. Alla fine, deve andare per forza all’inceneritore, in discarica, oppure dispersa nell’ambiente, da dove poi ce la ritroveremo nel piatto in forma di microscopiche particelle. Per non parlare dei danni in termini di riscaldamento globale: la maggior parte di questa plastica finirà per diventare CO2 addizionale nell’atmosfera. Ed è una quantità enorme: circa 380 milioni di tonnellate di plastica prodotte nel mondo tutti gli anni.

L’unica soluzione che abbiamo trovato sembra che sia la magica parola “bioplastica”. Infatti, qualcuno ha annusato l’affare e la bioplastica sta invadendo il mercato, in particolare quello degli usa e getta. Ma, a parte che la bioplastica costa cara e produrla su larga scala andrebbe a intaccare la produzione alimentare, questa roba non è pensata per gli impianti di compostaggio esistenti, perlomeno non nei tempi di processo attuali.

A parte i sacchetti del supermercato, che sono abbastanza sottili da essere compostabili, il resto è un problema: una forchetta di bioplastica non è la stessa cosa di un gambo di carciofo o una foglia di insalata. Piatti, bicchieri, bottiglie e altri oggetti in bioplastica rimangono in gran parte interi o si frammentano in micropezzetti che rendono il compost inutilizzabile. E’ un notevole danno, sia economico sia per la salute di tutti.

Ovviamente, i produttori di bioplastica si sono affrettati a difendere il loro mercato facendo notare che in Italia già esiste qualche impianto in grado di compostare la bioplastica. Certo, è possibile, ma bisogna pensare a una nuova filiera specifica, tutta da costruire. Sarebbe un’ulteriore complicazione del sistema di gestione dei rifiuti, un maggiore impegno per i cittadini, e nuovi investimenti i cui costi vanno necessariamente a ricadere sulla comunità.

Siamo sicuri di voler fare una cosa del genere? Non sarebbe tanto più semplice andare alla fonte, ovvero ridurre la quantità di plastica e di bioplastica che entra nel mercato? Questo si può fare per via legislativa a costo zero o quasi, evitando perlomeno gli sprechi più evidenti. Ovviamente, non si può abolire completamente la plastica per tante ragioni ma, per una volta, potremmo pensare a semplificarci la vita invece che a renderla più complicata.

Nel frattempo, c’è poco da fare: la bioplastica che non è in forma di sacchetti sottili va messa nel bidone dell’indifferenziato da dove poi finirà in discarica o all’inceneritore. Quindi, meglio di tutto, non usatela o usatene il meno possibile.

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