Esiste un’alternativa tra il voto subito chiesto da Nicola Zingaretti e un governo di scopo per fare la manovra invocato da Matteo Renzi. In un Partito democratico che pare spaccarsi anche quando sono gli altri a litigare e provocare la crisi, prende quota una terza via che potrebbe essere la soluzione del rebus: un governo di legislatura che duri almeno tre anni, cioè fino all’elezione del nuovo presidente della Repubblica nel 2022 che nell’ipotesi di una maggioranza di centrodestra potrebbe essere Silvio Berlusconi. Un programma con pochi punti, tra cui sicuramente l’abolizione dei decreti sicurezza di Salvini, e un premier che piaccia anche ai Cinquestelle senza esserne diretta emanazione (per ora si fa il nome di Raffaele Cantone). Non a caso a lanciare l’idea-ponte è stato Goffredo Bettini, uno dei consiglieri più ascoltati dal segretario ma con credito anche tra i renziani. E l’ipotesi riceverebbe la benedizione, se non la spinta, di Sergio Mattarella che ha già lanciato un segnale: un nuovo esecutivo dovrà avere identità e credibilità, niente governi di scopo. Zingaretti, intervistato dal Tg1, di fronte all’ipotesi di un governo di legislatura ha risposto: “È nelle prerogative del presidente della Repubblica”. Affidarsi al capo dello Stato: la stessa linea dettata dal M5s e da Luigi Di Maio.

E Renzi? L’ex premier ha definito le urne “una follia. Secondo Repubblica e Corriere della Sera, vorrebbe un governo di transizione che faccia la manovra, poi andare alle elezioni con un nuovo partito. Per questo prepara la scissione già per i prossimi giorni: uno strappo che potrebbe consumarsi intanto in Parlamento, dove nascerebbe un nuovo gruppo chiamato “Azione civile” alla Camera (mentre al Senato il regolamento lo vieta). Renzi ritiene di contare su circa 65 deputati a Montecitorio e 40 senatori a Palazzo Madama. Numeri alla mano, se uniti a Leu e al gruppo misto, basterebbero per dare una maggioranza a un governo istituzionale di breve durata. Ma il premier sarebbe pronto anche ad appoggiare un esecutivo che duri 3 anni, magari senza rinunciare comunque alla scissione dal Pd.

“O si dà vita ad un governo di lungo respiro, con una maggioranza chiara e un programma condiviso, o è meglio andare a votare, come ha detto Zingaretti”. Questa è l’ancora lanciata da Bettini al segretario e a Renzi. A caldeggiarla nel Pd sono già in tanti. Dario Franceschini, a nome di quei zingarettiani che mettono al primo posto l’obiettivo di non consegnare – ne ora ne mai – il Paese a Salvini. Ma, scrive Repubblica, non sono ostili nemmeno Graziano Delrio e Matteo Orfini. E se Zingaretti per ora resta cauto, un suo uomo come Roberto Morassut è già uscito allo scoperto: “Voto subito per combattere sul campo la destra o (se possibile) un governo istituzionale vero di risanamento e riforme non a tempo“.

Un’ipotesi di questo tipo avrebbe il pieno appoggio di Pietro Grasso, così come di alcuni big democratici, evidenzia il Corriere, tra cui Walter Veltroni, Romani Prodi ed Enrico Letta. A quel punto non servirebbe più nemmeno cercare qualche sponda tra i parlamentari di Forza Italia: M5s, Pd (anche se diviso tra renziani e non) e Liberi e Uguali potrebbero contare su 341 seggi alla Camera (più i 27 del gruppo misto): ampiamente sopra i 316 necessari. Al Senato, con l’appoggio delle Autonomie e sempre del misto, la tenuta della maggioranza non sarebbe in discussione.

Alla faccia degli appelli all’unità, alla fine il Pd potrebbe dividersi. Ma allo stesso tempo trovare la quadra anti-Salvini. La terza via, il governo di legislatura, prende quota. Qualche ragionamento sulla squadra e sul premier già è stato fatto: Roberto Fico sarebbe in primo piano, Di Maio un po’ più ai margini. Si ragiona sul ruolo che dovrebbero avere personalità come Enzo Moavero Milanesi e Giovanni Tria. I contatti con i Cinquestelle sono già in corso, sostiene Repubblica. Sicuramente verrà chiesto loro di “abbandonare i temi più demagogici ed eversivi”, come ha scritto Bettini, per concordare “un programma di ferro per la rinascita del Paese”. Poche priorità precise, rivolte soprattutto alla crescita economica. E poi lo stralcio dei provvedimenti bandiera della Lega sull’immigrazione. Nel frattempo chiudere la riforma costituzionale, magari anche ampliandola e modificandola rispetto al semplice taglio dei parlamentari. È questa la prospettiva che potrebbe riavvicinare Renzi e Zingaretti e allontanare il ritorno al voto.

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