Christian Gabriel Natale Hjort ammanettato e con gli occhi coperti da una benda, privato della possibilità di sapere dove sia e cosa accada intorno a lui mentre è nella caserma di via Selci, mentre per giunta è ancora sospettato per la morte del carabiniere Mario Cerciello Rega e nei suoi confronti in quel momento non è ancora stato preso alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria. Qualcuno nella stanza scatta una foto, la invia nelle chat interne dell’Arma e inizia a circolare. Così, a meno di 24 ore da quando la faccenda è arrivata sul tavolo del comando generale dell’Arma, la procura di Roma è in attesa di un’informativa e aprirà un’inchiesta penale destinata a ipotizzare i reati di maltrattamento e violenza privata nei confronti dei militari che hanno scelto quel trattamento per il 19enne americano e diffuso la foto.

E anche i vertici dell’Arma, saltati sulla sedia quando lo scatto è giunto ai piani alti del comando generale, hanno avviato un’indagine interna perché il comportamento tenuto dai militari è giudicato “inconcepibile”, fuori da ogni regola e di rilevanza almeno disciplinare viene considerata anche la diffusione della foto. “Un fatto molto grave”, lo definisce il comandante generale Giovanni Nistri quando gli mostrano la foto e lo ribadisce poi anche nelle ore successive. “Abbiamo subito inviato un’indagine interna – dice – È necessario individuare i responsabili”. Nel frattempo, il carabiniere che ha bendato Hjort è stato trasferito in un reparto non operativo.

Oltretutto la procedura seguita nel comando di via Selci potrebbe essere una carta giocata dai difensori del giovane, accusato di concorso in omicidio. “Il carabiniere dice di averlo bendato – è stata la prima spiegazione dell’Arma – per evitare che potesse vedere la documentazione che si trovava negli uffici e sui monitor”. I computer – almeno quelli visibili in foto – appaiono però spenti e, in ogni caso, il 19enne avrebbe potuto essere trasferito in una stanza dove non ci fossero carte riservate o legate all’indagine. 

“È una foto terribile: certe cose non devono accadere al di là delle accuse, della nazionalità del fermato e del colore della sua pelle”, dice Ilaria Cucchi. “Spero che la magistratura faccia chiarezza anche su questo in una vicenda tragica e in cui il mio pensiero va ai familiari del vicebrigadiere ucciso”, conclude la sorella di Stefano. “Credo ci sia bisogno di chiarezza questa volta come le altre. Ci vuole trasparenza. Quando ci sono episodi di violenza che coinvolgono le forze dell’ordine ci vorrebbe enorme cautela e grande professionalità”, dice invece Patrizia Moretti Aldrovandi, mamma di Federico, morto per le botte ricevute durante un arresto.

“Legittimo che debba essere interrogato – afferma – ma perché una benda? Le modalità delle persone fermate, e purtroppo lo sappiamo perché ci siamo passati, può essere pericolosa e illegale. Spero che non accada mai più”. Quanto al carabiniere ucciso con otto coltellate la madre di Aldrovandi dice: “Si tratta di un omicidio e come tale va indagato non perché si tratta di un militare ma perché è una persona”.

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