Negli ultimi decenni il cambiamento delle relazioni sociali e degli scambi di pensieri e stati d’animo, frequentemente affidati ai social network e ai messaggi virtuali, ha apportato un senso di profonda solitudine e di mancanza di comunicazione delle emozioni e dei sentimenti, sostituendo il “senso dell’ascoltare” con l’espressione di giudizi fini a se stessi, privati del rispetto degli altri.
Ecco quindi il bisogno di individuare una modalità in cui poter attivare progetti comuni per collaborare insieme, con la possibilità di non essere più soli, ma di riuscire a “invecchiare tra amici”.

Attraverso il co-housing, modello abitativo che rifugge la classica struttura tra inquilini, le persone che scelgono di farne parte sono tutte di pari livello, hanno origini e storie personali completamente diverse le une dalle altre e si uniscono tra loro senza principi ideologici alle spalle. L’invecchiamento è accettato e viene reso operoso attraverso la realizzazione di una rete sociale, finalizzata al recupero dei valori di solidarietà e di collaborazione reciproca, da rendere efficace tra le persone che vivono a pochi metri di distanza le une dalle altre, evitando l’utilizzo di strutture specificatamente riservate alla terza età.

La formula abitativa del co-housing, introdotta circa 50 anni fa nel nord Europa, in Olanda e Danimarca, prevedeva l’uso di un’abitazione privata gestita dal singolo nucleo familiare e la condivisione di una serie di attività – come ad esempio i lavori di casa, l’educazione dei figli – per agevolare le esigenze di giovani famiglie. Poi questa particolare organizzazione residenziale, introdotta in Germania, in Svezia e successivamente anche in Canada e Stati Uniti, ha subito una particolare evoluzione con l’invecchiamento degli stessi promotori, i quali si resero conto che, con il trascorrere del tempo, poteva essere riproposta in versione “senior”, con la creazione di piccole comunità di circa 20-40 alloggi per persone anziane accomunate da situazioni personali simili, in cui ad ogni nucleo familiare è destinato un proprio alloggio individuale e spazi – lavanderia, palestra, cucine, aule ricreative – da condividere con i vicini.

Il co-housing così concepito si basa su semplici e buoni rapporti di vicinato che valorizzano il concetto di non assistenza. In più, cosa non da poco, la condivisione di spazi e servizi in maniera collettiva e la sostenibilità sociale dell’abitare collaborativo assicurano notevoli risparmi dal punto di vista economico e ambientale.

Anche in Italia sono stati realizzati analoghi modelli abitativi: in particolare il Comune di Trento ha individuato soluzioni concepite non solo per le esigenze di chi sta invecchiando, ma destinate a creare comunità di vicini di casa di tutte le età, che vivono in condivisione, armonia e soprattutto amicizia. La centralità della costruzione di comunità, cui segue la co-progettazione del “condi-vivere” e l’importanza del ruolo dei facilitatori esperti nell’affiancamento di gruppi, sia nel percorso di creazione che di manutenzione della comunità nel lungo periodo, sono aspetti fondamentali per apprendere le competenze sociali, compresa la gestione degli eventuali conflitti, per il “ben-vivere-insieme”.

Articolo Precedente

Giovanni Paolo I, sono ancora molte le cose da capire sulla sua morte. E un giornalista cerca di fare chiarezza

next
Articolo Successivo

Istat, l’Italia è il Paese più longevo in Europa: 14.456 gli ultracentenari, 2 milioni gli over 85. Uecoop: “Necessario miglioramento welfare”

next