di Claudia De Martino*

Roma, si sa, è assalita dai rifiuti urbani: disseminati ovunque da mesi, anche se l’Amministrazione capitolina dichiara che l’emergenza si è acuita solo recentemente, e in particolare dagli incendi degli impianti Tmb Salario a metà dicembre 2018 e di quello di Rocca Cencia a marzo 2019, entrambi di natura dolosa, ma i cui autori sono ad oggi rimasti ignoti e impuniti perché in entrambi i casi le telecamere erano disattivate o volontariamente spente.

Non basta che la Città eterna presenti enormi ritardi strutturali nella gestione dei rifiuti – circa 3mila tonnellate giornaliere di pattume indifferenziato smaltiti in appena tre impianti – e che essi soffrano di periodica mancanza di manutenzione – si veda il recente guasto al nastro trasportatore di Rocca Cencia e la manutenzione straordinaria dei due Tmb di Malagrotta – ma ad essi si aggiungono gli atti di sabotaggio criminale e la mancanza di sensibilità ambientale da parte dei cittadini, con una raccolta differenziata ferma ancora al 43%.

Lo stato increscioso in cui versa la città è evidente da mesi, ma le varie amministrazioni regionali e comunali si rimpallano le responsabilità e, in assenza di trasparenza nella gestione e nel controllo pubblico, le attività di smaltimento dei rifiuti proliferano nell’illegalità, determinando quella crescita a macchia di leopardo di 125 siti abusivi, vere e proprie discariche all’aria aperta poste accanto a quartieri densamente popolati, a maggioranza concentrati nel quadrante di Roma est.

Tuttavia, quello che colpisce non è tanto il degrado urbano generalizzato in cui versa la città, ma il senso di totale impotenza in cui si ritrovano i suoi cittadini, sempre più apatici di fronte a quella che dovrebbe essere un’emergenza quotidiana. Se uno sparuto numero di attivisti anima una campagna di raccolta firme (promossa dalla sezione locale dei Radicali), la maggioranza dei residenti assume un’attitudine passiva ed escatologica nei confronti dell’abbandono di Roma, quasi si trattasse di una questione di forza maggiore e, quindi, fuori dalla loro portata. Il sistema di smaltimento dei rifiuti, con la raccolta appaltata all’Ama e lo stoccaggio affidato a mille sigle di aziende private senza alcun obbligo evidente di cooperare con essa per la buona gestione del servizio, appaiono ai più un ganglio di relazioni economico-istituzionali talmente complesso da sfuggire alla comprensione del cittadino comune.

Il dramma di Roma non è un episodio isolato, purtroppo. Anni fa (2007-2011) la stessa emergenza aveva toccato Napoli, mentre altre città mediterranee affrontano un’emergenza rifiuti continua. Tra esse spiccano metropoli come il Cairo, dove lo smistamento dei rifiuti è affidato quasi del tutto al settore informale – i wâheyya, gli abitanti originari delle oasi, e gli zabbâlîn, i migranti interni, entrambi una sorta di “appaltatori privati” di rifiuti – e Beirut, la cui disorganica gestione municipale dei rifiuti urbani è stata al centro di un acceso dibattito nazionale nel 2015.

È soprattutto la storia di Beirut ad offrirsi alla comparazione con l’attuale crisi dei rifiuti romana: nonostante lo scontento dei cittadini per l’immondizia riversata per strada abbia toccato l’apice nel 2015, la crisi va fatta risalire alla mala gestione dei rifiuti a partire dalla metà degli anni 90. È allora, come ben diagnostica Sami Atallah, Direttore del Centro Libanese per gli Studi Politici (Lcps) che “il governo affida la gestione dei rifiuti a una società privata – la ‘Sukleen’ – al doppio dei costi precedentemente esatti dalla municipalità (ovvero dal settore pubblico)”, e il cui valore del contratto triplica nell’arco di 20 anni.

I costi della raccolta dei rifiuti solidi aumentano in termini reali del 5% annuo, ma la Sukleen può imporre qualsiasi prezzo, perché agisce in un regime di monopolio, avendo ricevuto il contratto senza appalto. Il risultato di tutto questo è che non riesce comunque a gestire bene il servizio, non pianifica le attività, non predispone nuovi siti di stoccaggio perché si occupa solo della raccolta, e impone comunque costi molto alti ai residenti per un servizio scadente che non prevede alternative, tutti elementi che richiamano fortemente il caso Ama, seppure nella differenza tra controllo pubblico (la Municipalizzata romana) e privato (la Sukleen).

Nel 2015 a Beirut i giornali avevano titolato sulla “crisi ecologica” e sulla ”emergenza sanitaria”, esattamente come ha fatto lo scorso 1° luglio l’Ordine provinciale di Roma dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri (OMCeO) di Roma lanciando un grido d’allarme alle istituzioni. Le città del Mediterraneo sembrano accomunate da problemi simili che presentano cause comparabili: corruzione, mancanza di trasparenza e asservimento ai poteri forti, con buona pace dei cittadini assuefatti o imbelli.

E stando al forte tasso di urbanizzazione del Mediterraneo (previsto al 75% entro il 2030), alla presenza di numerose metropoli di più di un milione di abitanti (Roma, Napoli, Marsiglia, Barcellona, Tunisi, Algeri, Atene, Istanbul, Izmir, il Cairo, Beirut e Tel Aviv), e al forte aumento dei consumi (e di conseguenza dei rifiuti), è ipotizzabile che in queste città i problemi ambientali aumenteranno esponenzialmente in assenza di qualsiasi pianificazione. Che un giorno purtroppo non lontano vengano tutte accomunate dal loro olezzo maleodorante?

* ricercatrice ed esperta di questioni mediorientali

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