La sera dell’11 luglio 1979 l’avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona, è freddato sotto casa da un killer proveniente dagli Stati Uniti e assoldato dallo stesso Sindona.

Nel 1974 Ambrosoli, esperto di finanza e di procedure fallimentari, aveva ricevuto questo incarico dalla Banca d’Italia in conseguenza del crac finanziario delle banche di proprietà di Sindona. Ad Ambrosoli è affidata una mansione sovradimensionata per una sola persona; gli affiancano quattro uomini della Guardia di Finanza, ma è lui l’unico commissario liquidatore. Giorgio Ambrosoli è lasciato indifeso su un campo di battaglia dove si muove un variegato arco di interessi che va dai poteri occulti criminali (c’entrano la mafia e la P2, a quel tempo ancora non scoperta) ai politici vicino a Michele Sindona che valutano, assecondando le pressioni del banchiere, l’opportunità di far pagare allo Stato lo sprofondo di 268 miliardi lasciato dalla Banca Privata italiana.

Sin dal 1976, sotto l’interessato sguardo di Giulio Andreotti, sono approntati piani per il salvataggio della Banca Privata italiana, tutti puntualmente bocciati dalla Banca d’Italia, sottoposta a sua volta a forti pressioni affinché accettasse il piano benché l’ultima parola sul salvataggio spettasse proprio al commissario liquidatore, Giorgio Ambrosoli.

Come si è creata la voragine e dove sono finiti i soldi è il tema dell’indagine che svolge il commissario liquidatore, il quale risale al 1969 per ricostruire i movimenti del banchiere, arrivando a delineare un quadro di movimenti che supera quanto richiesto dalla semplice procedura di liquidazione. Ambrosoli riesce a dimostrare che quello che venne definito al tempo “l’impero sindoniano” era prevalentemente una realtà contabile più che patrimoniale. Sindona si avvaleva di istituti compiacenti all’estero che gli hanno permesso di riciclare il denaro sporco. Intensa anche l’attività di speculazione di borsa e sulle valute i cui proventi finivano in altre società, mentre i numerosi trasferimenti di denaro servivano spesso a occultarlo.

Ambrosoli ha scoperto una serie di operazioni fittizie all’interno del sistema Sindona, spesso mascherate da operazioni valutarie, magari registrate in passivo falsificando i bilanci, per coprire finanziamenti a politici o a gruppi eversivi di estrema destra.

Michele Sindona era ossessionato da Giorgio Ambrosoli, ritenendolo il principale ostacolo al salvataggio della banca. Avvalendosi della mafia, Sindona fa sottoporre l’avvocato alla pressione di continue minacce, ma Ambrosoli è irremovibile, nonostante sia cosciente del rischio di morte che grava su di lui. A giugno del 1979 ad Ambrosoli fanno trovare, tra i faldoni dell’inchiesta, una pistola segata, mentre le telefonate di minacce diventano sempre più esplicite: “Lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto”.

Ambrosoli ci ha lasciato il suo esempio di coraggioso e onesto uomo comune, di Eroe borghese come l’ha felicemente definito Corrado Stajano nel suo libro; ma soprattutto Ambrosoli ci ha offerto la sua competenza, a cominciare dalle 14 relazioni inviate a Bankitalia che gettano luce sulla forma oscura del potere in quegli anni (in rete si può trovare la sua prima relazione commentata da Ottavio D’Addea).

Va ricordato che ai suoi funerali non partecipa nessun membro del governo, quasi fosse un atto dovuto ignorare Ambrosoli. L’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti, nel 2010 ha così commentato l’assassinio di Ambrosoli: “Certo, era una persona che in termini romaneschi io direi se l’andava cercando“.

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