di Fabrizio Bellavista*

E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Mise sull’Innovation manager e ciò ci permette di riflettere sul senso più profondo di questa proposta: innanzitutto c’è un importante riconoscimento al ruolo e all’identità delle Pmi, tanto che queste ultime e la tecnologia potranno finalmente dialogare con maggiore facilità. Le Pmi sono il vero tessuto economico del nostro Paese e, da sempre, hanno necessità di un supporto concreto al fine di “sistematizzare” la propria organizzazione e il proprio sviluppo tecnologico. Non dimentichiamoci che il nostro Paese resta un vero gioiello di cultura, paesaggi e imprenditoria creativa: quest’ultima, molto spesso, è un’imprenditoria artigiana o di piccole/medie dimensioni e talvolta a conduzione familiare che, senza neppure depositare alcun brevetto, spesso ha letteralmente rivoluzionato interi comparti merceologici dell’odierno mercato globale.

I punti essenziali del decreto

Questo decreto mette a disposizione delle Pmi, che utilizzeranno la figura dell’Innovation manager, un voucher a fondo perduto che ammonterà fino a 40mila euro per le micro e piccole imprese; fino a 25mila euro per le medie imprese e fino a 80mila euro per le reti d’impresa. La figura dell’Innovation manager dovrà apportare all’azienda una consulenza “in materia di trasformazione tecnologica e digitale, attraverso le tecnologie abilitanti del Piano Impresa 4.0 e dei processi di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali”.

Qualche parola in più ora sui particolari: usufruirà di un unico contratto di consulenza della durata di almeno nove mesi; ha ampio spazio di intervento in diversi settori, dai big data e analytics sino alla prototipazione rapida, dalla realtà virtuale e aumentata sino alla robotica avanzata, dalla stampa 3D al mondo IoT, fino allo sviluppo digitale dei processi aziendali compreso il digital marketing; ma il suo operato può raggiungere anche le strategie di gestione e l’utilizzo di strumenti di finanza alternativa e/o digitale.

L’Innovation manager deve aver fatto domanda d’iscrizione all’elenco dei manager qualificati, in fase di istituzione, in cui è prevista una grande varietà di profili professionali, da matematici a fisici, da ingegneri industriali a specialisti in scienze dell’informazione, dalle società che operano nel settore agli incubatori certificati di startup innovative.

Pmi: capirne e valorizzarne anche gli asset, non sempre evidenti. Un processo culturale prima che tecnologico

Con questo decreto si sta concretizzando, dunque, quell’orientamento che Alessandra Luksch, direttore dell’Osservatorio startup intelligence del Politecnico di Milano, auspicava: la necessità di una cultura diffusa che vede l’innovazione come un fatto naturale all’interno di un’impresa e non un corpo estraneo al business tradizionale. Ma aggiungiamo: tutto quello che concerne la tecnologia deve essere integrato nel pensiero strategico, quindi nella cultura d’azienda, e non diventare essa stessa “la cultura” e sostituirla. Anche Aldai – Federmanager, in prima linea sul decreto in questione con un proprio servizio di certificazione, attraverso Bruno Villani – suo presidente – ribadisce l’importanza strategica nel generare una nuova cultura d’impresa basata sulla managerialità anche per le Pmi.

Infine suggeriamo una seria riflessione sull’etica e la tecnologia (e la centralità dell’uomo): c’è stata, nell’ultimo decennio, una forte perdita di contatto tra l’operato delle aziende innovative e le istanze del pianeta. Quelle stesse organizzazioni che hanno prodotto innovazioni strabilianti e hanno aperto menti, mercati e opportunità, sono risultate assolutamente impreparate riguardo i temi “impatto su lavoro, privacy, sicurezza, inclusione ed equità”: l’Innovation manager dovrà dunque essere particolarmente attento e aggiornato anche su questo fronte caldissimo.

Concludiamo con una citazione di Luigi Einaudi (da Economia di concorrenza e capitalismo storico, Einaudi, 1942) che ci sembra particolarmente importante soprattutto in vista del 2020 e dei possibili miglioramenti del decreto dopo che avremo esperito un primo test di nove mesi: “Chi cerca rimedi economici a problemi economici è su una falsa strada, la quale non può che condurre se non al precipizio. Il problema economico è l’aspetto e la conseguenza di un più ampio problema spirituale e morale”.

* Fabrizio Bellavista entra nel mondo digitale dal ’97, stesso anno in cui accosta il marketing emozionale e fonda il “Premio Cultura di Rete” nel 1999. E’ attualmente Digital Transformation Consultant, partner di “Emotional Marketing Research”, membro dell’Associazione Italiana Studi Marketing e capo dipartimento “Neuromarketing e sharing economy” dell’Associazione Neuromarketing AINEM. E’ co-autore dei libri “Idee” (Advertiser Edizioni), “La Logica del Fluire. Che mercato saremo” (Fausto Lupetti Editore), e “Io tu NOI gli altri” (Aracne Editrice).

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