ArcelorMittal può riconsegnare allo Stato italiano le chiavi dello stabilimento ex Ilva di Taranto ora che il governo, con la norma inserita nel decreto Crescita, ha cancellato l’immunità penale. E può farlo non grazie al contratto firmato quando il ministero dello Sviluppo Economico era guidato da Carlo Calenda, ma in virtù di una modifica apportata nel settembre 2018, ovvero sotto il governo Conte. È quanto sostiene Il Sole 24ore in edicola martedì, giorno in cui per la prima volta ministero, sindacati e azienda siederanno nel pomeriggio allo stesso tavolo per monitorare l’attuazione di quanto previsto nell’intesa sindacale siglata a settembre e che ha dato il via libera all’ingresso negli stabilimenti della multinazionale dell’acciaio.

Di Maio: “No, clausola solo per Piano Ambientale”
Ed è proprio a quel tavolo che il ministro dello Sviluppo Economico, secondo quanto riportano fonti Mise, ha voluto precisare che “non è affatto così”. Nel contratto, così come negli atti successivi, “si parla esclusivamente della possibilità di recesso in caso di annullamento o di modifiche sostanziali del Dpcm 29 settembre 2017, ovvero del Piano Ambientale”. L’esistenza di questa clausola, infatti, continua, “è stata aggiunta successivamente al nascere di ricorsi amministrativi volti all’annullamento del Dpcm”. “Ripeto dunque che mai, nel contratto così come in nessun altro documento (accordo sindacale, addendum), viene citata espressamente, o anche solo implicitamente, l’esimente penale, disciplinata unicamente da norma di rango primario”. Per il ministro “non poteva essere altrimenti, in quanto sarebbe stato impensabile disciplinare contrattualmente profili penalistici che sono rimessi alla sovranità del Parlamento”, ha aggiunto. Quando ArcelorMittal ha iniziato a contestare l’abolizione dell’immunità penale – che garantiva la non punibilità dei responsabili del siderurgico fino al termine del piano ambientale, fissato nell’agosto 2023 – il ministro Di Maio ha detto e ribadito: “Non era nel contratto che abbiamo firmato, non era legata neanche all’addendum”.

“Ecco perché Arcelor può uscire dal contratto”
A leggere quanto scrive il quotidiano di Confindustria – che ha messo le mani sull’accordo di modifica del contratto firmato il 14 settembre scorso e finora era rimasto “segreto”, proprio come quello di Calenda firmato a giugno 2017 e scoperto dagli ambientalisti nell’aprile 2018 – esiste in effetti una nuova norma, confermata in parte dallo stesso Di Maio. Salvo che non siano intervenute ulteriori modifiche nei mesi successivi, delle quali, tuttavia, in linea generale, non si è mai saputo. Se nella versione del 2017, un riferimento esisteva solo nell’articolo 25 ed era legato alla possibilità di richiedere all’Avvocatura di Stato di chiarire la “corretta interpretazione” della “estensione temporale” delle esimenti penali (cosa peraltro fatta due volte, con la stessa risposta dall’Avvocatura: “Fino al 2023”), nell’accordo integrativo del settembre 2018 l’articolo 27, quello dedicato alla “Retrocessione dei rami d’azienda”, afferma: “Nel caso in cui con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non definitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch’esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’arti.1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l’annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l’esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere a una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti in pare qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto”.

L’appiglio del governo alla sentenza Ue?
In sostanza, fuori dal linguaggio tecnico, la norma autorizza ArcelorMittal ad abbandonare gli impianti nel caso in cui venga cambi il quadro normativo impostato dal governo Renzi per dare il là alla gara e per proteggere l’operato dei commissari straordinari e degli acquirenti fino alla messa a norma degli impianti, che sono ancora sotto sequestro penale. La norma è valida in ogni caso, qualsiasi sia la fonte normativa dell’abolizione o della modifica ad eccezione di “obblighi comunitari”. Ma nel contratto c’è di più.

L’altro problema: la norma sul piano ambientale
Perché nel settembre 2018 è stato anche specificato che l’uscita dal contratto sarà possibile anche nel caso in cui “un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano industriale”. In questo caso, la rilevanza è legata alla disposizione del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, di riaprire l’iter dell’Autorità integrata ambientale che dovrebbe fissare paletti più stringenti sotto il profilo emissivo che avrebbero come effetto la necessità per Arcelor di “calmierare” la produzione di acciaio con il rischio di non rendere realizzabile il piano industriale.

Calenda: “Menzogne su dossier delicato, si dimetta”
Ad attaccare il leader M5s è il suo precedessore al Mise: “Ha mentito di nuovo. Nel contratto da lui firmato a settembre 2018 la revoca della cosiddetta immunità è disciplinata come causa di risoluzione – scrive Carlo Calenda in un post su Facebook – Siamo davanti all’ennesima sceneggiata infarcita di menzogne come già accaduto su Ilva con il parere dell’Avvocatura, su Tap con le penali fantasma, su Whirlpool con la notizia della vendita dello stabilimento. Non parliamo di menzogne ‘politiche’ o promesse non mantenute. Ma di affermazioni pronunciate su dossier delicatissimi e contraddette da documenti ufficiali”. Per questo, aggiunge citando Pd, Leu e +Europa, “le opposizioni unite dovrebbero chiederne le dimissioni in Aula”.

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