Anche quest’anno il festival della carne di cane di Yulin, nella Cina meridionale, ha fatto molto parlare di sé. A scagliarsi contro questo evento, iniziato il 21 giugno e con fine domenica 30, non sono state solo le associazioni per i diritti degli animali, ma personaggi famosi, media, tv e persino politici, in Italia e in buona parte del mondo occidentale.

L’evento è infatti tristemente noto perché oltre 10.000 cani e centinaia di gatti vengono cucinati e serviti come cibo nelle bancarelle sparse per le strade. Se pensiamo inoltre che le modalità di trattamento di questi poveri animali sono davvero terribili (cani ammassati in piccole gabbie, uccisi senza alcuna anestesia o stordimento) e che a volte si tratta persino di cani di famiglia rubati, è ovvia l’indignazione ed è scontato il ribollire di rabbia. L’ondata di indignazione e proteste cresce di anno in anno, anche giustamente, ma con il rischioso effetto collaterale dei toni da crociata del civile occidente contro “i cinesi”, con tanto di insulti razzisti che immancabilmente riempiono i social network.

Senza voler affatto difendere cosa accade a Yulin, e in numero minore in numerosi mercati della Cina rurale, crediamo che prima di scagliarsi contro “i cinesi” sia importante però informarsi veramente e riflettere, soprattutto su quanto noi civili occidentali facciamo ogni anno a miliardi di altri animali.

Prima di tutto il festival di Yulin non è una tradizione, anzi, è stato ideato solo 10 anni fa per puri motivi commerciali. Yulin è una singola città in una nazione con più di 1 miliardo di abitanti e non rappresenta certo tutti in quel paese, come testimoniato dal fatto che anche la maggioranza dei cinesi sia contraria a questo festival e all’uccisione di cani e gatti per alimentazione.

Secondo un sondaggio condotto da Horizon nel 2016 il 64% dei cinesi è favorevole alla chiusura del festival, mentre il 62% lo considera un danno all’immagine della nazione all’estero e il 56% vorrebbe uno stop totale al commercio di carne di cane. Ancora più interessante: il 69% degli intervistati non ha mai mangiato carne di cane.

E se ci aggiungiamo che migliaia di volontari e attivisti sono impegnati in prima persona ad aiutare i cani (e i gatti) vittime di questo mercato, anche con eclatanti azioni di salvataggio, forse dovremmo perlomeno pensarci un attimo prima di lanciare anatemi e crociate contro “i cinesi”, che evidentemente sono ben diversi dallo stereotipo che anche i media a volte aiutano a rafforzare.

C’è poi un’altra riflessione importante da fare: dal punto di vista morale, possiamo noi occidentali considerarci davvero migliori nel rapporto con gli animali? Certo, qui cani e gatti non li mangiamo e ucciderli per questo motivo o per farne pellicce è vietato, così come maltrattarli o abbandonarli. Ma con gli altri animali possiamo ritenerci davvero migliori?

In Italia ogni anno macelliamo più di 600 milioni di animali, di cui il 99% nato e cresciuto in allevamenti intensivi. In questi luoghi le gabbie sono poco più grandi di quelle in cui avete visto chiusi i cani di Yulin, e in quelle gabbie ci passano tutta la loro misera vita. Le scrofe che non possono voltarsi e girarsi su se stesse, le galline che non possono nemmeno aprire le ali, i conigli che non riescono ad alzarsi in piedi e allungare il collo. Inoltre è da noi che è nata la moda delle pellicce, con i suoi allevamenti di volpi e visoni, chiusi in minuscole gabbie di rete metallica.

A questo punto l’obiezione è che si tratta di animali diversi, nati per essere mangiati, mentre i cani no, quelli non si toccano. A livello naturale però non esiste differenza, non c’è un regno degli animali da cibo e uno degli animali da compagnia, esistono semplicemente gli animali (di cui anche noi facciamo parte, non dimentichiamolo) tra i quali ogni società a livello culturale ha scelto quali si mangiano e quali no, quali creano disgusto e quali riteniamo appetitosi, quali coccoliamo e quali macelliamo.

La stessa società occidentale non si dimostra decisa su quali animali sia giusto o sbagliato mangiare. Mentre nei paesi anglosassoni uccidere un cavallo per mangiarselo è considerato assurdo e barbaro, in Italia è una tradizione radicata, soprattutto in alcune zone del sud. Allo stesso modo, sempre più persone hanno in casa dei conigli e mai oserebbero mangiarli, eppure in Italia se ne macellano a decine di milioni, tanto che in molti paesi ci giudicano allo stesso modo in cui noi giudichiamo gli asiatici che mangiano cani.

Questa schizofrenia è dovuta al fatto che la giustificazione che utilizziamo per difendere certe pratiche è la tradizione, che identifica i comportamenti socialmente accettabili in un certo luogo e tempo, senza però fornirci un criterio valido per stabilire cosa sia universalmente giusto e sbagliato: fintanto che una pratica è accettata dalla maggioranza della popolazione, la stessa diventa incontestabile. Quindi è giusto mangiare carne, “perché lo abbiamo sempre fatto” e “perché lo fanno tutti”.

Ma se il metro di giudizio è dunque la tradizione, non possiamo allora scagliarci contro quei paesi in cui lo è mangiare cani e gatti. Ecco così che Yulin ci aiuta a capire che stiamo ipocritamente applicando un doppio standard, non solo verso la Cina ma prima ancora a partire dalla nostra distinzione tra animali da affezione e animali da reddito.

L’ipocrisia velata di sottile razzismo dell’Occidente verso il consumo di carne di cane può dunque essere utile per far sorgere una riflessione più profonda sulla sorte degli altri animali, che qui da noi continuiamo a considerare solamente come cibo. Quelli che patiscono sofferenze simili ai cani di Yulin, proprio vicino a casa nostra, e senza che nessuno o quasi ne parli.

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