Il calcio in mano ai tifosi. All’estero a volte e in forme diverse è già realtà, in Italia solo un’utopia: l’azionariato popolare rimane un tabù per il nostro calcio, dove il piccolo imprenditore locale o il grande magnate straniero resta l’unica soluzione per mandare avanti un club, con la partecipazione dei tifosi che viene archiviata come infattibile se non proprio osteggiata. Adesso, però, qualcosa si muove: il governo ha approvato un emendamento al ddl sullo sport che prevede in futuro una legge per l’azionariato popolare, e intanto introduce un organo consultivo nelle società professionistiche per la tutela dei tifosi.

TEMA CARO AL M5S (E UNA VECCHIA IDEA DI GIORGETTI…)
L’azionariato popolare è un tema caro sia al Movimento 5 stelle che alla Lega. L’affinità coi 5 stelle, da sempre sostenitori della democrazia diretta, è evidente come confermano le parole del sottosegretario Simone Valente: “Vogliamo dare il via a un percorso culturale diverso nel calcio professionistico, che favorisca la coesione sociale e la partecipazione dal basso”. Meno noto il favore del Carroccio: in tempi non sospetti però, era il 2014, Giancarlo Giorgetti aveva firmato una proposta di legge che proponeva addirittura di “togliere un padrone alle società sportive”, stabilendo un tetto del 30% al numero di quote o azioni che uno stesso soggetto può detenere in una società. Praticamente una follia. Giorgetti intanto è diventato uomo di governo e ha mitigato le sue intenzioni: il progetto che partorirà il parlamento sarà senz’altro meno rivoluzionario. Ma non c’è da sorprendersi che la maggioranza gialloverde abbia deciso di affrontare la questione.

UNA DELEGA FUTURA, SUBITO I TIFOSI IN SOCIETÀ
Ecco dunque che nel corso dell’esame del ddl sullo sport (che affronta varie materie, dalla riforma del Coni all’attività scolastica), è stato approvato in commissione un emendamento sull’azionariato popolare, del resto che doveva entrare nel testo fin dal primo momento. La proposta, firmata dal relatore leghista Belotti impegna il governo a “individuare forme e condizioni di azionariato popolare per le società professionistiche”. Significa che, quando il ddl sarà approvato, il governo potrà scrivere una delega sull’azionariato popolare. I contenuti, dunque, sono rimandati ai prossimi mesi. Intanto però c’è anche un altro articolo, che prevede l’ingresso dei tifosi in società: la creazione di un organo consultivo, formato da 3 a 5 membri eletti dagli abbonati, che possa esprimere pareri su questioni che riguardano i fan, magari visionare i bilanci, tutelare i propri interessi.

PERCHÉ SERVE UNA LEGGE AD HOC
Si tratta di due norme distinte che mirano allo stesso obiettivo, anche se ovviamente l’intervento maggiore è rimandato alla futura delega. Esperienze differenti già ci sono, nelle forme più disparate, soprattutto nelle categorie minori (ad esempio il progetto Supporters in campo): in Serie A, invece, il caso più importante è quello di MyRoma, associazione di tifosi che ha acquistato una piccola quota (sotto l’1%) della As Roma. Si può già fare, insomma. Perché serve una legge ad hoc? La risposta prova a darla proprio il fondatore di MyRoma, Walter Campanile, che sta partecipando al tavolo governativo. “Fino ad oggi il calcio italiano è stato in mano a padri padroni, che non hanno alcun motivo a mettersi in casa chi non fa i loro interessi ma solo quelli della squadra. Una legge serve per incentivare la partecipazione popolare e magari codificarla, stabilendo un quadro normativo più chiaro”.

I MODELLI ESTERI: 50%+1 TEDESCO, COOP SPAGNOLE, TRUST INGLESI
Inevitabile guardare all’estero, dove l’azionariato è già vivo e in certi casi molto florido. I modelli sono riconducibili essenzialmente a tre tipologie. In Germania da fine anni Novanta la FederCalcio ha fissato la famosa regola del 50%+1, che impedisce a un singolo azionista di avere la maggioranza, e fa sì che i club siano in mano ai tifosi: il Bayern Monaco, ad esempio, è per oltre il 70% dei suoi fan con partecipazioni minoritarie di colossi come Audi, Adidas e Allianz (al 9% ciascuno), lo stesso il Borussia Dortmund che però si è anche quotato in borsa; più di recente è in corso in controtendenza la privatizzazione di diverse società finite in mano a multinazionali (il Leverkusen alla farmaceutica Bayer, il Wolfsburg a Wolkswagen, il Lipsia a Red Bull).

In Spagna le proprietà si sono divise in due grandi categorie a inizio Anni Novanta, a seguito di una grave crisi che stava facendo fallire i club. Alcune sono delle associazioni senza scopo di lucro, direttamente in mano ai tifosi che sono veri e propri soci di queste cooperative: il Barcellona, con oltre 200mila iscritti, è il più grande caso di azionariato popolare al mondo, seguito da Real e Atletico Madrid, Bilbao, Osasuna. Le altre invece sono società sportive, quindi acquistabili da privati. Infine c’è il modello anglosassone del Supporter Trust, che vede i tifosi associarsi in una società o in un’associazione, e per tramite di questa acquistare il controllo di una società (o una parte di essa) e governarla. Proprio questa sembra essere l’esperienza più versatile e facilmente replicabile in Italia.

LA VIA ITALIANA: SOGGETTO GIURIDICO UNICO, SGRAVI E ORGANI CONSULTIVI
In Italia come detto esperienze ce ne sono già state in varie forme: cooperative, fondazioni, associazioni, chi più ne ha più ne metta. Proprio questo potrebbe essere uno degli obiettivi principali della legge: individuare un unico soggetto giuridico (magari anche uno nuovo) attraverso cui realizzare l’azionariato popolare. Visto che la via spagnola non è praticabile (bisognerebbe cambiare la ragione sociale delle società professionistiche) e quella tedesca troppo estrema (impensabile fissare un tetto ai privati), la soluzione più fattibile sembra quello del Trust inglese. Un altro obiettivo sarà quello di incentivare queste forme di proprietà alternative: un’idea attualmente allo studio, ad esempio, potrebbe essere quella di prevedere degli sgravi fiscali ai club che abbiano una partecipazione popolare (ovviamente di una quota significativa). Quello che invece non potrà fare la legge è cancellare in un sol colpo gli ostacoli: ad alti livelli i tifosi non bastano, servono i soldi. Infatti i casi che funzionano all’estero sono quelli di società con una forte tradizione, che possono prescindere dall’apporto finanziario dei soci in quanto hanno un fatturato notevole e un bilancio solido. Sono modelli virtuosi ma difficilmente replicabili, almeno nell’immediato in Italia, dove l’azionariato sembra sostenibile più nelle categorie minori che nel professionismo. Intanto si parte dall’ingresso dei tifosi in società con un organo consultivo (se confermata la norma le società avranno sei mesi per adeguare il proprio statuto). La strada è ancora lunga, ma forse il calcio italiano muove i primi passi.

Twitter: @lVendemiale

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