La carneficina di Khartoum, dove le forze di sicurezza sudanesi hanno disperso i manifestanti lasciando a terra 35 morti, ha fatto saltare il banco. Il Consiglio militare di transizione (CMT), che ha preso il potere dopo la capitolazione di Omar al-Bashir l’11 aprile, ha annunciato l’annullamento di tutti gli accordi sottoscritti coi manifestanti e lo stop alle negoziazioni con l’Alleanza per la libertà e il cambiamento (ALC), la sigla che raggruppa le varie associazioni di società civile che in questi mesi hanno animato e gestito la protesta.

Gli accordi ora annullati prevedevano un periodo di transizione di tre anni dopo il quale il potere sarebbe passato a un’amministrazione civile. Durante la transizione, il parlamento avrebbe dovuto esser composto di trecento membri, di cui due terzi provenienti dall’ALC e il rimanente da altri gruppi politici. Ma tali accordi erano già stati rimessi in discussione il 20 maggio, poiché ciascuna delle due parti voleva prendere il controllo della transizione. Fino al tragico epilogo di ieri.

Il capo del CMT, il generale Abdel Fatah al-Burhan, ha diffuso in piena notte un comunicato che è stato letto alla televisione ufficiale sudanese, nel quale annuncia la rottura e indìce entro nove mesi le elezioni nazionali e regionali, cui seguirà la formazione di un nuovo governo. Stando a quanto da lui dichiarato, i ministri avranno tre compiti: far arrestare tutti i membri del vecchio regime implicati in crimini e corruzione; portare la pace nelle regioni in conflitto; preparare un ambiente propizio allo svolgimento sereno del voto. al-Burhan si è poi impegnato a cedere il posto a chi verrà eletto dai cittadini.

Da ultimo, si è pronunciato sul massacro avvenuto ieri, quando le Forze di sostegno rapido (RSF) sudanesi hanno sgomberato con la forza i manifestanti che da quasi due mesi (dalla caduta di Al-Bashir) occupavano ininterrottamente la piazza davanti al quartier generale dell’esercito. Un assalto improvviso, che ha lasciato a terra almeno 35 vittime e 650 feriti. Abdel Fatah al-Burhan si è detto “dispiaciuto che l’azione abbia travalicato i limiti previsti a Nile Street”, con un evidente paradosso: Nile Street non è il luogo del sit-in, ma la via nella quale erano stati esplosi alcuni colpi la settimana prima. Come se l’assalto al sit-in fosse stato un “danno collaterale”. Non pago, ha affermato che le responsabilità di quanto accaduto non cadono solo sui militari, ma anche sui politici, e ha smentito di aver disperso con la forza i manifestanti. Le forze armate e le RSF avrebbero condotto “un’operazione congiunta per ripulire alcune zone” vicine al sit-in, nelle quali si sarebbero svolte delle non meglio precisate “attività illegali”. Una scusa – secondo i manifestanti – per giustificare l’assalto.

Le immagini circolate ieri dimostrano la durezza dell’assalto. E le reazioni internazionali pure, con dure condanne da Onu e Stati Uniti, mentre Regno Unito e Germania hanno chiesto una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Non solo: secondo il Comitato centrale dei medici sudanesi, ieri anche diversi ospedali sono stati presi d’assalto e circondati dalle forze armate mentre affluivano i feriti. Le manifestazioni si sono propagate nel frattempo ad altre città: a Port-Soudan i manifestanti scandivano slogan che invocavano la caduta del Consiglio militare.

In seguito alle violenze di ieri, l’ALC in serata aveva diffuso un comunicato nel quale annunciava di rompere ogni contatto politico con il Consiglio militare e invitava a “marce pacifiche”, allo sciopero e alla disobbedienza civile totale e a oltranza, per rovesciare il regime. L’Associazione dei professionisti sudanesi (SPA), uno dei membri dell’ALC, ha esortato la popolazione a uscire oggi, martedì, festa islamica dell’Eid Al Fitr e fine del Ramadan, per “pregare per i martiri” e per manifestare pacificamente dopo la preghiera.

Tuttavia, secondo fonti sul posto contattate da RFI, Khartoum stamattina è una città fantasma, nella quale riecheggiano qua e là colpi d’arma da fuoco: pare che i militari disperdano immediatamente ogni tentativo di assembramento, impedendo ai manifestanti di riprendersi le strade.

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