Adesso che mancano pochi giorni al voto per le Europee, ricordiamo che uno dei pochi momenti degni di nota in quell’insopportabile passerella di miliardari del World Economic Forum di Davos (dovrebbe essere abolito) è stato quest’anno quando lo storico olandese Rutger Bregman (autore di “Utopia per realisti”, pubblicato da Feltrinelli) ha detto: “Sento persone che parlano il linguaggio della partecipazione, della giustizia, dell’uguaglianza e della trasparenza, ma quasi nessuno pone la vera questione, l’elusione fiscale, vero? Cioè i ricchi che non pagano la giusta quota di tasse. Voglio dire, mi sembra di essere a una conferenza dei vigili del fuoco dove nessuno ha il permesso di parlare dell’acqua… Questa non è scienza missilistica. Possiamo discutere a lungo di stupidi schemi filantropici, possiamo invitare Bono per l’ennesima volta, ma andiamo, dobbiamo parlare di tasse! Tasse, tasse, tasse. Tutto il resto è una cazzata, secondo me”.

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Bregman, com’è ovvio, ha perfettamente ragione. Eppure non solo di ultramiliardari che scantonano le imposte, si dovrebbe parlare. Cerchiamo di capire. Si potrebbe partire da due nuovi rapporti adatti al caso. Il primo è il dossier di Richard Murphy, economista e attivista di Tax Justice Network, secondo cui in Europa il “buco” causato ogni anno dall’evasione fiscale illegale è compreso tra i 750 e i 900 miliardi di euro (in Italia il governo dovrebbe svenarsi per le clausole di salvaguardia dell’Iva pari a circa 21 miliardi). Il secondo rapporto è una relazione del Parlamento Europeo, pubblicata il 27 febbraio 2019, secondo cui sette paesi dell’Ue su 28 sono etichettati come “paradisi fiscali”. Ecco: non pensate che i due dossier siano intrinsecamente collegati?

Vediamo il primo, il report di Murphy. Intanto l’elusione e l’evasione fiscale sono spesso usate in modo intercambiabile, ma non è così. L’elusione è la strategia di un contribuente per ridurre al minimo il proprio carico di tasse da pagare. Può essere sia lecita che illecita (nel senso che non è conforme alle leggi) ma non è mai illegale. L’evasione fiscale invece è la deliberata, criminale non divulgazione dei propri redditi al fine di diventare invisibili nascondendosi al fisco. Ciò detto, le cifre dell’evasione in Europa sono veramente enormi, quei 900 miliardi paiono davvero troppi per dare la colpa soltanto ai grandi ricchi. Che pure – ammettiamolo – ci stanno sulle palle in quanto non ci va giù che se la godano e riescano a farla franca, triangolando i loro capitali nei paradisi fiscali offshore e altri trucchi. Certo, se si cominciasse dai miliardari facendogli pagare il dovuto (altro che l’incostituzionale ‘flat tax per tutti’ proposta dalla Lega: un regalo ‘trumpiano’ per la fascia al top che aumenterebbe a dismisura le disuguaglianze con le famiglie a basso reddito) potrebbe davvero fare una gran differenza, in termini di esempio.

Comunque sia, il costo della disuguaglianza fiscale è elevato, soprattutto se diventa endemico e se finisce per rafforzare monopoli e multinazionali in cerca di profitti. Peggio, alla luce dell’impatto tossico causato dai tagli al welfare e ai servizi pubblici dettati dall’austerità di Bruxelles, che negli ultimi anni ha colpito i più poveri e le periferie più degradate delle nostre città creando enorme disagio sociale, verrebbe naturale spiegare il cattivo andamento dell’economia con le pessime politiche economiche e fiscali non espansive, sapendo che finiscono per favorire l’ascesa di un fascismo soft ovunque: in Europa (Salvini capo della destra estrema non ancora autarchica) e negli Stati Uniti (l’ex palazzinaro Trump che rozzamente favorisce solo i grandi ricchi). Invece, la crescita economica sarebbe stimolata tassando la ricchezza (patrimoni e non redditi) molto più pesantemente di quanto non accada oggi. Non solo sarebbe equo, rimetterebbe i soldi in circolo.

Il secondo rapporto, stilato da una commissione del Parlamento europeo, ha rilevato che sette dei 28 Stati membri dell’Ue – Belgio, Cipro, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi – “mostrano tratti da paradiso fiscale e facilitano la pianificazione fiscale aggressiva”. L’inchiesta, durata un anno, era stata originata da tre progetti dell’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) – “Lux Leaks”, “Panama Papers” e “Paradise Papers” – che grazie all’apporto di vari studi legali e alle indagini di 100 organi media ha mostrato che molte multinazionali targate Usa come Apple, GlaxoSmithKline, Nike, Disney, Ikea, Koch Industries, Allergan, Skype e altre, hanno in segreto messo in piedi operazioni complesse in alcuni dei paesi più piccoli dell’Ue. Servivano a scopi commerciali minimi o nulli ma invece avevano come obiettivo creare opportunità di elusione fiscale per decine di aziende nel continente e oltre.

I sette paesi insieme rappresentano meno del 9% della popolazione europea di 512 milioni di persone. Solo il Belgio e l’Olanda hanno oltre 10 milioni di cittadini. Uno degli scandali è che il presidente uscente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, prima di assumere la carica, è stato primo ministro del Lussemburgo per quasi due decenni. Dopo il voto questa settimana se ne andrà a casa e popolari e socialisti non avranno più la maggioranza. Durante quel periodo Juncker ha usato politiche fiscali aggressive e favorevoli alle imprese, per trasformare il secondo Stato più piccolo dell’Ue da un’economia basata sull’acciaio a una zona regionale perfetta per le pratiche da elusione fiscale di multinazionali vogliose di pagare poco o nulla in tasse. Con il nuovo Parlamento Europeo, dopo il voto del 26 maggio, dobbiamo dire basta agli evasori che rubano quasi 900 miliardi di euro l’anno, e basta alla cultura ordoliberista che privilegia le imprese e non i cittadini.

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