David Lidington, responsabile dell’ufficio del primo ministro britannico (Cabinet Office minister) lo ha dichiarato a margine di una nuova sessione di negoziati con l’opposizione laburista: le elezioni per il Parlamento europeo si svolgeranno il 23 maggio nel Regno Unito, visto che il governo ha constatato di non avere abbastanza tempo per ratificare l’accordo sulla Brexit. “Siamo impegnati nelle trattative con le opposizioni – ha spiegato Lidington -, ma visto il poco tempo che rimane non è possibile concludere questo processo prima del termine legale per evitare le elezioni”. Il Cabinet Officer Minister ha inoltre annunciato che per il 2 luglio, giorno di insediamento del parlamento a Bruxelles, il governo spera possa passare una nuova intesa per l’uscita dalla Ue.

Una decisione che già nelle scorse settimane era apparsa inevitabile, visto lo stallo a Westminster e i tempi ristretti per ottenere l’ok della maggioranza del Parlamento su un accordo più volte respinto dalle opposizioni, dagli unionisti dell’Irlanda del Nord e dall’ala brexiteer dei Tory che chiede un’uscita decisa, con meno accordi che, a loro dire, favoriscono l’Unione europea. Il prossimo obiettivo dell’esecutivo britannico, come dimostra la volontà di ufficializzare l’accordo entro il 2 luglio, è quello di non mandare i propri rappresentanti a Bruxelles. Una stretta di mano entro quel giorno rappresenterebbe una vittoria più simbolica che sostanziale per il Regno Unito, mentre toglierebbe parzialmente dall’imbarazzo le istituzioni europee: in caso di insediamento, i rappresentanti britannici sarebbero chiamati a discutere, votare e decidere, sia in Parlamento che in sede di Consiglio, la nomina del prossimo presidente della Commissione europea e delle altre alte cariche dell’Unione.

Al termine dell’incontro ha parlato anche Sir Keir Starmer, Segretario ombra laburista per la Brexit: “I colloqui sono in corso da un po’ di tempo – ha detto -, ma credo si sia arrivati a un punto di crisi in cui il governo deve decidere se è seriamente interessato a cambiamenti significativi in ​​grado di raggiungere una maggioranza alla Camera dei Comuni”.

Una crisi che ha fatto riflettere anche alcuni Tories sulla possibilità di un nuovo referendum, non per evitare, bensì per riaffermare con più forza la volontà dei cittadini britannici di lasciare l’Unione. Dopo che venerdì Eric Pickles, membro della Camera dei Lord, aveva dichiarato che, in caso di mancato accordo, le persone dovrebbero essere nuovamente chiamate a decidere, oggi Daniel Kawczynski ha ribadito questo concetto: “Se non possiamo farlo, se questo va al di là delle nostre possibilità e se falliamo, allora un altro referendum è inevitabile“.

In mattinata, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, che ha anche predetto l’annuncio di Londra quando ha dichiarato di “non avere l’impressione che la Gb sia molto accomodante in tema di tempistica”, ha fatto mea culpa per come l’operazione Brexit è stata portata avanti fin dalle origini:  ho sbagliato ad “ascoltare troppo il governo britannico e il primo ministro, David Cameron, che mi chiese di non interferire con la campagna del referendum (sulla Brexit, ndr). È stato un errore non intervenire, ho sbagliato a restare in silenzio in un momento importante”, ha dichiarato in conferenza stampa a Bruxelles.

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