Il leader dell’opposizione anti-Maduro, Juan Guaidò, continua a spingere la popolazione venezuelana a continuare le proteste “pacifiche”contro il presidente: “Sabato 4. Mobilitazione nazionale in pace davanti alle principali unità militari per aderire alla Costituzione”, ha annunciato attraverso il suo profilo Twitter. Una resistenza, quella dell’autoproclamato presidente ad interim, che dovrebbe durare altri tre giorni e riproporsi anche la prossima settimana grazie anche all’appoggio incondizionato del presidente americano, Donald Trump. Il capo della Casa Bianca, secondo un’indiscrezione diffusa dalla Cnn, sta cercando nuovi fondi da destinare alle proteste, magari utilizzando i soldi del governo venezuelano congelati dalle sanzioni Usa. Sale a cinque, intanto, il numero delle vittime, tra cui tre adolescenti, con gli arresti che hanno toccato quota 239.

“Ci sarà bisogno di altri sforzi e di costanza – ha detto Guaidò ai suoi sostenitori – Siamo vicini a raggiungere la nostra libertà“. Un impegno che per il presidente dell’Assemblea si tradurrà in altri tre giorni di protesta “pacifica” che dovranno protrarsi in maniera alternata anche nelle prossime settimane: “Domani andremo a consegnare un semplice documento, un proclama alle Forze Armate perché rispondano al nostro appello e lottino per le elezioni libere”, ha spiegato Guaidò durante una conferenza stampa, sottolineando che “qui nessuno ha parlato di scontro” e che domani la mobilitazione sarà realizzata “pacificamente, altrimenti torneremo indietro”. “Oggi il Venezuela è determinato a essere libero – ha insistito – Domani parleremo con loro (i militari), invitandoli a unirsi a noi perché sappiamo che ce ne sono molti che vogliono aggiungersi”.

Dovranno svolgersi “assemblee in tutto il Paese per divulgare i nostri propositi e convocare alle prossime mobilitazioni”, ha spiegato il leader dell’opposizione. “Convoco – ha detto infine Guaidò – tutti i settori del Paese a realizzare pronunciamenti esigendo la fine dell’usurpazione, l’attuazione costituzionale delle forze armate, la sua partecipazione all’Operazione Libertà, e a organizzare e realizzare un giorno di sciopero o protesta settoriale durante la prossima settimana”. La mobilitazione dovrà continuare “in strada, è l’unico modo per mantenere l’attenzione, la pressione della comunità internazionale, per promuovere l’azione costituzionale della forza armata e per dimostrare a coloro che ancora sostengono il dittatore che non ci sarà stabilità fino a quando l’usurpazione continua”, ha poi concluso.

I piani di protesta a oltranza di Guaidò sono supportati in primis dall’amministrazione americana. La Cnn, citando fonti repubblicane al Congresso, ha spiegato che alla Casa Bianca si starebbero cercando nuovi fondi da trasferire all’opposizione per cercare di alimentare le proteste fino alla caduta di Nicolas Maduro che, ieri, ha mostrato la propria forza e stabilità marciando per le strade della capitale alla guida di una processione di militari a lui fedeli. Tra le opzioni al vaglio di Washington ci sarebbe la conversione dei fondi del governo venezuelano congelati dalle sanzioni Usa in finanziamenti per l’opposizione. Un’altra possibilità è quella di stanziare dei prestiti a breve termine alle frange anti-Maduro. “Stanno cercando di capire come possa pagare gli stipendi e le altre cose che gli possano permettere di dire ‘siamo un governo funzionante'”, spiegano le fonti in riferimento allo studio dell’amministrazione Usa sulla situazione dell’ala ribelle.

Il consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa John Bolton, che nei giorni scorsi aveva rivelato l’accordo segreto con un gruppo di militari venezuelani per rovesciare il regime di Maduro, accusa Russia e Cuba per il fallimento del colpo di Stato: “Senza le interferenze straniere, il processo democratico in Venezuela oggi sarebbe in corso – ha scritto su Twitter – Solo il popolo venezuelano può determinare il futuro del Venezuela. Maduro si aggrappa al potere grazie al sostegno di Russia e Cuba, le uniche forze militari straniere in Venezuela”.

Intanto, al pentagono si è tenuto un incontro tra il ministro della difesa ad interim Patrick Shanahan, il segretario di stato Mike Pompeo e il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton per discutere la situazione in Venezuela. “Abbiamo una serie completa di opzioni adattate a certe circostanze”, ha dichiarato poi Shanahan, non escludendo l’opzione militare.

Anche l’altro volto delle manifestazioni, l’oppositore politico Leopoldo Lopez, liberato proprio dagli uomini di Guaidò dagli arresti domiciliari in cui si trovava e rifugiatosi nell’ambasciata spagnola di Caracas, dice che la protesta non può che andare avanti. Ha dichiarato di non aver paura “né del carcere, né di Nicolas Maduro”, ma che rimarrà ospite del governo di Madrid: il carcere “è un inferno, ma non ne ho paura. Non ho paura di Maduro, non ho paura della dittatura”. “Si è aperta una crepa, una frattura del regime – ha detto riferendosi alle proteste guidate in coppia con Guaidò – ed è un colpo alla forza armata”. Nonostante l’ordine di cattura che pende sulla testa di Lopez, la Spagna ha fatto sapere che non consegnerà l’oppositore al governo di Caracas, ma che comunque la sua attività politica dall’edificio diplomatico sarà “limitata” e che la sede non diventerà “un centro per fare attivismo politico”, come ha spiegato a El Pais il ministro degli Esteri spagnolo, Josep Borrell.

Ad abbassare la tensione interna al Paese ci prova il governo, con il ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, ribadendo che l’unico modo per risolvere la crisi politica con l’opposizione guidata da Guaidò e il governo degli Stati Uniti, è il dialogo permanente tra le parti. Messaggio simile a quello recapitato da Vladimir Putin a donald Trump durante una telefonata di un’ora nella serata di venerdì in cui ha detto al tycoon che “un’ingerenza dall’esterno negli affari interni” del Venezuela e “tentativi di cambiare il potere con la forza a Caracas minano le prospettive di una ricomposizione politica della crisi”, spiega il Cremlino in un comunicato pubblicato sul suo sito internet. “Nel corso dello scambio di opinioni sulla situazione attorno al Venezuela – si legge – il presidente russo ha sottolineato che solo gli stessi venezuelani hanno il diritto di determinare il futuro del loro paese”.

Mentre lo scontro politico non accenna a sopirsi, nel Paese continua anche la conta delle vittime e degli arresti per le manifestazioni dei giorni scorsi. Almeno cinque persone, tra cui tre adolescenti, hanno perso la vita negli scontri, secondo l’Ufficio per i diritti umani dell’Onu. L’ultima vittima è un adolescente di 15 anni, morto ieri nello stato di Mérida. Il numero degli arresti, al momento, è salito a 239 dall’inizio delle proteste: “Stiamo seguendo con grande preoccupazione la situazione in Venezuela”, ha detto la portavoce delle Nazioni Unite da Ginevra, Ravina Shamdasani, che ha poi invitato le autorità venezuelane a garantire “che non venga fatto un uso eccessivo della forza“.

A preoccupare le Nazioni Unite è anche la situazione umanitaria che si sta aggravando nel Paese. Circa sette milioni di persone sono bisognose di assistenza, soprattutto nel sud del Paese. Nel dettaglio, l’Onu stima che 1,9 milioni di persone richiedono assistenza alimentare, tra cui 1,3 milioni di bambini sotto i cinque anni. Inoltre, circa 2,8 milioni di abitanti hanno bisogno di assistenza sanitaria, tra cui 1,1 milioni di bambini, e circa 4,3 milioni di assistenza per acqua e servizi igienici. Infine, si ritiene che almeno 2,7 milioni di persone richiedono assistenza e servizi di protezione.

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