“Dobbiamo ringraziare una persona che non c’è più: Gianluca Griffa”. A parlare è il procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, la cui indagini hanno portato agli arresti domiciliari Enrico Trovato, all’epoca dei fatti responsabile del Centro oli dell’Eni di ViggianoGianluca Griffa, ex responsabile dello stabilimento lucano, scomparso e poi trovato morto nell’agosto del 2013, in una lettera aveva raccontato come le fuoriuscite di greggio dai serbatoi del Cova sarebbero avvenute nel 2012 ma poi “per ordini superiori” sarebbero state nascoste “per non fermare la produzione”.

Ora si aggiunge un nuovo tassello alla vicenda e – oltre all’arresto di Enrico Trovato – sono indagate anche 13 persone, tra le quali dirigenti della compagnia, pubblici ufficiali facenti parte del Comitato tecnico regionale della Basilicata e la stessa Eni come persona giuridica. I componenti del Ctr avevano il compito di controllare l’attività estrattiva della compagnia petrolifera sotto il profilo della sicurezza e dei rischi ambientali. I reati ipotizzati sono disastro, disastro ambientale, abuso d’ufficio, falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale.

La storia risale al 2017, quando l’Eni ammise lo sversamento di 400 tonnellate di petrolio da uno dei serbatoi del Centro Oli della Val d’Agri (Cova) a Viggiano, in provincia di Potenza. Lo sversamento si era verificato tra agosto e novembre del 2016. Secondo gli inquirenti c’è stata “la contaminazione e la compromissione di 26mila metri quadri di suolo e sottosuolo dell’area industriale di Viggiano e del reticolo idrografico a valle dell’impluvio denominato Fossa del lupo”.

“Quanto accaduto è la conferma di quello che studio e scrivo da tempo su ciò che accade in Val d’Agri – racconta la professoressa Albina Colella – già nel 2011 avevo riscontrato un’elevata concentrazione di idrocarburi nelle acque del Pertusillo, e successivamente anche nei sedimenti. La situazione, che all’epoca avevo fotografato, ha poi trovato riscontro nelle parole dell’ingegner Griffa, che aveva capito tutto”. La Colella, docente di Geologia all’università di Potenza, nel 2015 era stata denunciata dalla compagnia petrolifera per diffamazione e danni morali e patrimoniali, dopo alcune dichiarazioni rese in tv sulle acque contaminate di Contrada La Rossa in aerea di reiniezione petrolifera.

All’epoca dei fatti a capo del Cova c’era Enrico Trovato e alla professoressa venne chiesto un risarcimento di 5 milioni di euro. Ma il 19 luglio 2017, la Prima Sezione Civile del tribunale di Roma ha rigettato integralmente la richiesta di risarcimento danni avanzata da Eni, legittimando così la validità degli studi scientifici della docente. “Oggi – spiega – la situazione del Pertusillo è molto critica, perché dal versante petrolizzato (quello del Centro Oli, ndr), in più punti fuoriescono dal sottosuolo liquami rossi contaminati che si immettono nelle acque dell’invaso. Ed è allarmante, sia per la Basilicata che per la Puglia, che fa grande uso di tali acque. L’acqua è alla base della catena alimentare e della salute, se è inquinata tutto viene compromesso”.

Stando ai racconti della professoressa Colella, in Basilicata c’è grande preoccupazione per la situazione ambientale ma anche tanta “paura di esporsi”. “Gli agricoltori mi chiedono cosa sta succedendo, vogliono documentazione scientifica, analisi per sapere come stanno le cose”. A esprimere preoccupazione anche Pasquale Stigliani, presidente dell’associazione ambientalista ScanZiamo le Scorie, che chiede con urgenza la bonifica di acqua e suolo: “È giusto che chi inquini paghi e che il processo faccia il suo corso, ma occorre avviare subito la bonifica, al momento ancora ferma. Chiediamo poi che Regione e Governo non rinnovino la concessione per la “coltivazione di idrocarburi” in Val d’Agri. Abbiamo anche raccolto più di 8500 firme per chiudere i pozzi”. Secondo la professoressa Colella, però, “la bonifica delle acque sotterranee è molto complessa e costosa. Può richiedere molto tempo e in alcuni casi potrebbe non essere sufficiente”.

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