Non appartengo al gruppo di chi crede che la tecnologia sia l’apocalisse e che occorra far fuori cellulari, computer e tablet, vietandoli totalmente anche ai bambini. Uso tantissimi dispositivi, per lavoro soprattutto ma anche per divertimento, mi piace fare foto ai miei figli e trovo utili i social network, pur ritenendoli molto sopravvalutati rispetto all’apporto di felicità che possono dare alle nostre vite. Ma fatta questa lunga premessa, sono convinta che sia giunto il momento di mettere alcuni paletti invalicabili nell’uso degli smartphone. E uno di questi riguarda le riprese durante i concerti, ma anche altri eventi, come ad esempio le recite scolastiche dei bambini, dove a mio avviso la cosa sta prendendo una piega letteralmente inquietante.

Parto da un esempio personale, perché è più semplice e chiaro. L’altro giorno sono andata ad una recita di mio figlio piccolo, all’asilo. La rappresentazione durava una mezz’oretta, in giardino. I bambini cantavano. Semplice e bello. Praticamente, però, non ho potuto vedere nulla perché una selva di smartphone si frapponeva tra me e la visione di mio figlio e i suoi compagni, tanto che la recita l’ho vista dallo schermo di chi mi stava davanti. La concentrazione di questi genitori non era sulla recita, ma sulla sua videoripresa e infatti si posizionavano nei modi migliori per l’inquadratura, con lo smartphone teso in avanti, senza minimamente pensare, tra l’altro, al fatto che impedivano a noi dietro di vedere. Non solo. Questi genitori non si rendevano conto dell’effetto grottesco che si veniva creando. Bastava allontanarsi per vedere un piccolo piccolo manipolo di bambini colorati con la coroncina di cartone assediati da un esercito di telecamere e macchine fotografiche, neanche si trattasse di celebrità. I bambini erano imbarazzati, tutto era innaturale e per la verità assurdo.

Per  fortuna, di questa assurdità si stanno accorgendo sia alcune scuole – ad esempio la stessa scuola dei miei figli per le recite un po’ più important iha vietato i telefoni, affidando a una persona le riprese che poi vengono eventualmente diffuse ai genitori – sia anche alcuni artisti, come il cantante Jack White o il comico Chris Rock, si stanno accorgendo che la selva di videoriprese sta distruggendo la bellezza e autenticità di eventi musicali e artistici e questo ovviamente al di là della questione del copyright che pure esiste (per i concerti. Per le recite scolastiche una questione di privacy dei bambini). Siamo convinti che riprendere un concerto o una recita non infici sulla sua fruizione.Invece sì. Perché invece di stare in ascolto, di far risuonare le emozioni che quell’evento unico ci sta dando in quel preciso momento, nel lasciar andare la testa e il cuore, ci concentriamo sull’ossessiva missione di avere una copia digitale di ciò che stiamo vivendo. Dopo la recita, mi sono arrivati sulla chat di classe decine e decine di video. Li ho buttati, senza neanche aprirli. Trovo che la bellezza di un evento stia anche, paradossalmente, proprio nella sua non ripetibilità, nel fatto che sì, una volta finito, quell’evento svanisca. Ma se siamo stati in ascolto, lo avremo impresso in maniera indelebile nelle nostre emozioni, ed è questo ciò che conta, pur non avendo magari un ricordo esatto.

In generale, l’ossessione di riprendere tutto è profondamente malata. Chi la pratica con accanimento crede di poter sfuggire al tempo che passa, ma non è così. Crede anche di poter ricreare magicamente l’emozione del momento, magari di un concerto, semplicemente avviando un video, ma questo non avverrà mai perché l’emozione è data anche e soprattutto dal fatto di essere presenti lì, con il nostro corpo, mentre le riprese sono prive di corpo e quindi anche delle sue emozioni profonde. Poi per carità, avere ricordi del passato è importante, ma – e lo dico soprattutto rispetto ai bambini – questa documentazione sistematica, quasi hegeliana, di ogni momento della loro esistenza distrugge ogni spontaneità. E infatti i bambini, miei figli compresi, sono sempre più infastiditi dall’essere continuamente fotografati, si scherniscono, si irritano, avvertono un disagio. Dovremmo essere capaci di ascoltarli e posare finalmente quel telefono, magari fotografandoli solo quando non se ne accorgono, come fanno i veri fotografi, e non mettendoli, invece, incessantemente in posa. Avremo meno foto, ma saranno poche e preziose e capaci di trasmetterci sentimenti più grandi di un intero hard disk di immagini.

Quanto alle normative: mi sembra maturo il momento in cui le scuole prendano misure per vietare i cellulari non solo ai bambini, quanto anche ai genitori, quando questi entrano a scuola magari in occasioni gioiose come una recita. E lo stesso vale ovviamente, ai concerti, laddove almeno possibile senza creare rischi. Tutto ciò avrà un effetto terapeutico. Aumentare le zone dove il cellulare non si può usare fa bene. Anche per usarlo meglio, in maniera più consapevole. E anche per capire che oggi non è più tempo di quantità ma di qualità. Materiale digitale ne abbiamo in eccesso, è tempo di cominciare a selezionare. Tutto il contrario di quanto ci spingono a fare i social, in particolare Instagram con le sue storie immediate di cui sono inutilmente invasi gli account. Abbiamo bisogno di vuoto per ricominciare a vedere i contenuti. E poter discernere i migliori e i peggiori, quelli che ci danno emozioni autentiche e quelli che no, quelli che portano un valore aggiunto e quelli che è meglio cestinare. O ancor prima, mai girare.

Pagina Facebook: Elisabetta Ambrosi

Articolo Precedente

Esodati, manager diventato “barbone” racconta la vita in strada senza un euro in tasca – su Fq MillenniuM in edicola

next