Ora che anche scrittori del calibro di Paolo Cognetti e Mauro Corona hanno preso posizione in favore di Reinhold Messner sull’appello del Grande Alpinista per evitare che nella prossima tournée estiva Jovanotti proponga anche una data anche in cima a Plan de Corones, e ora che il Cherubini Lorenzo ha promesso che in tutto il suo “Jova beach party” ci saranno solo concerti ecologici, verrebbe voglia di andare un po’ oltre la consueta dose d’ipocrisia superficiale delle polemiche. Il teatro della contesa è sì, in qualche modo, “anche” una montagna, e quindi in teoria, per definizione, un luogo del silenzio, come ha ricordato Messner: ma parliamo pur sempre di un panettone noto come tra i più moderni comprensori sciistici del mondo, che s’affaccia proprio sopra l’area industriale di Bressanone, dove d’estate sono stati già organizzati altri rumorosi “eventi” (detto con la seconda e molto aperta, come la terza di “esperienza”).

Forse un tempo a Plan de Corones c’era qualche albero in più, forse le vacche e le pecore ci vivevano felici, ma oggi è un territorio totalmente conquistato, per non dire devastato, sopra e sotto, da 32 impianti di risalita con una portata oraria potenziale di oltre 70mila persone, 120 km di piste da discesa e un sistema d’innevamento artificiale con una rete di oltre 450 ettari di canalizzazioni, quasi 400 cannoni sparaneve, 30 “gatti” che spianano, svariati bacini artificiali e serbatoi di stoccaggio dell’acqua: il tutto gestito e controllato da un sistema elettronico degno di una centrale nucleare. E pochi passi sotto la torre di 21 metri con la maxi-campana della Concordia, simbolo del Plan de Corones (18 tonnellate e un batacchio di 500 kg che suona in do diesis), dal luglio del 2015 la ciliegina sulla torta è quello che si può considerare il gioiello della piccola catena di musei della montagna, che Messner ha ammirevolmente allestito nella sua nuova vita di testimone culturale d’eccellenza. Da fuori, del Mountain Museum Corones opera dell’archistar Zaha Hadid, si vedono spuntare solo due grandi finestre panoramiche e poco più, ma la colata di cemento armato sotto deve essere stata gigantesca.

Tra parentesi, è notevolissima la collezione d’arte e di cimeli che Messner ha scelto per l’Mmm Corones: oggi vale la pena di ricordare almeno la sala più divertente, tutta dedicata alle contraddizioni dei suoi grandi miti alpinistici. Si va dal guru millenario Milarepa, talmente poco in pace con se stesso e col mondo da tirar sassi ai disturbatori delle sue ascetiche meditazioni sui monti, al profeta dell’arrampicata libera, senza corda e senza chiodi, Paul Preuss, di cui è visibile una piccozzetta dove una delle punte è a martello (ossia è fatta proprio per piantare i chiodi i cui passare la corda!). Sulla scalata artificiale e la deturpazione delle zone più selvagge, pur di riuscire nelle imprese alpinistiche, finiscono sotto accusa Emilio Comici, di cui è in mostra uno scalpello, e ovviamente Cesare Maestri, che si portò addirittura un compressore sul Cerro Torre, per piantare gli ancoraggi e le sicure a spit. Di Walter Bonatti viene additata la disinvoltura con cui mise al servizio di congrui contratti pubblicitari il suo “alpinismo eroico”.

Alla fine del breve elenco di nomi, il curatore aggiunge il suo stesso, Reinhold Messner, con l’autoironico commento: “apparentemente immune dalle cadute”. Già. In uno dei suoi libri più profondi, 13 specchi della mia anima del 1995, Messner aveva fatto autocritica persino sull’effetto distrut-turistico del suo record più straordinario: “Mi sento corresponsabile se anche sull’Himalaya si perde il sublime e il silenzio. La moltiplicazione delle esperienze riduce il contenuto, l’esplorazione dell’estremo viene tradita e stravolta nel suo contrario”.

Ecco, il problema della riscoperta dei valori autentici della montagna è molto complesso, e riguarda decisamente di più l’industria dello sci e il business del turismo estremo che i concerti in quota. Anzi, questa data singolare del “Jova Beach Tour”, in quanto ben strano spettacolo on the beach sul Plan (ovvero proprio perché un panettone al centro delle Dolomiti, nella sua aridità desertica estiva, oggi può essere occupato per un rito pop-rock da spiaggia), potrebbe servire un po’ a far prendere coscienza, paradossalmente, del problema dell’impatto ambientale dello sci cosiddetto “programmato” o “tecnico”, nell’epoca del riscaldamento globale: non sono in questione i decibel del Jova sparati contro il silenzio che fu delle cime, ma le montagne d’acqua e di risorse che vengono sprecate, con un rumore di sottofondo che dura più di cento giorni l’anno, per sparare neve e garantire la settimana bianca a quell’1-2% di privilegiati che hanno i soldi per sciare.

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