“Come rappresentante dello Stato mi sento di chiedere scusa alla famiglia di Stefano Leo”. Lo ha detto il presidente della Corte d’appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenti, che ha convocato una conferenza stampa per commentare le notizie sulla mancata carcerazione dell’assassino di Leo, dopo una condanna per maltrattamenti in famiglia diventata definitiva lo scorso maggio e mai eseguita. “Sento di dover fare le mie condoglianze e partecipare al dolore e al cordoglio”, ha detto il giudice specificando, però, che ciò non consente “di dire che la Corte d’appello sia corresponsabile dell’omicidio. Qui abbiamo fatto quello che dovevamo fare. C’è stato un problema successivo. Posso scusarmene, ma non c’è nessuna certezza che Mechaquat Said fosse ancora in carcere il 23 febbraio”.

In merito alla mancata carcerazione, il magistrato ha ripercorso le tappe della vicenda. “La sentenza è divenuta irrevocabile l’8 maggio – ha detto -. Se noi fossimo nel migliore dei mondi possibili il 9 maggio il cancelliere avrebbe trasmesso immediatamente il verdetto alla procura. Ma se negli uffici c’è carenza di personale e non è solo colpa nostra”. Visto che mancano i lavoratori, a fronte della mole di fascicoli “la cancelleria ha come input quello di far eseguire le sentenze più gravi, sopra i tre anni, perché al di sotto si ha la possibilità di ottenere l’affidamento in prova”, ha spiegato Barelli Innocenti. “È una sproporzione tra risorse e numeri – ha aggiunto il collega Fabrizio Pasi, presidente della Corte d’assise d’appello  -. Come in un pronto soccorso, dove i medici decidono la priorità dei casi da trattare in base alla gravità e può succedere che un caso meno grave poi abbia una complicanza”.

Poi, dopo la trasmissione del verdetto, “ammesso che la procura avesse immediatamente eseguito quella sentenza, non c’è nessuna garanzia che il 23 febbraio il signor Mechaquat Said fosse in carcere”, ha aggiunto Barelli Innocenti. Questo perché “ogni sei mesi di detenzione ci sono 45 giorni di beneficio e inoltre anche se l’imputato è stato condannato con sentenza definitiva viene osservato e può accedere a misure alternative”. “Il reato non le esclude – ha detto Pasi -. Anche se fosse stata eseguita immediatamente la pena, il periodo di osservazione per l’affidamento in prova dura pochi mesi e teoricamente la persona poteva già essere fuori dal carcere”. In questo modo, anche se arrestato dopo la condanna, Mechaquat avrebbe potuto ottenere la libertà.

A proposito della carenza di personale, Barelli Innocenti ha lanciato un grido d’allarme sullo stato delle corti d’appello in Italia, “il collo di bottiglia del sistema”: “Io sono qui a prendermi i pesci in faccia come è giusto che sia, ma non scrivete che la colpa è solo dei magistrati. Non è neanche giusto distinguere tra magistrati e cancelleria, ma la massa di lavoro da smaltire è tale che il ministero della Giustizia dovrebbe provvedere ad assumere cancellieri e assistenti perché è quello di cui abbiamo bisogno”. Il giudice ha inoltre aggiunto che “quando c’è un problema ci si siede intorno a un tavolo e si cerca una soluzione affinché non accada più, però con le attuali forze non posso garantire che questo non succeda mai più e lo dico col cuore infranto. Ho dedicato tutta la mia vita a questo ed è duro da dire. Noi ce la mettiamo tutta e c’è bisogno che qualcuno ci aiuti. Il sistema è malato”. Il presidente ha ripetuto più volte un concetto: non vuole che la Corte d’appello sia ritenuta “corresponsabile dell’omicidio”.

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