Anche il capogruppo Pd di Eboli, Pasquale Infantefaceva parte dell’associazione a delinquere per lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina nel salernitano. Ai domiciliari da qualche giorno, Infante è diventato suo malgrado il caso ‘politico’ di una indagine su una vera e propria tratta degli schiavi deflagrata un paio di giorni fa in trentacinque misure cautelari di vario tipo, chieste e ottenute dalla Procura di Salerno guidata dal reggente Luca Masini. Da consigliere comunale, Infante firmava comunicati stampa contro l’accoglienza dei profughi ad Eboli: “I residenti delle periferie non chiedono carceri o l’arrivo di altri profughi ma più sicurezza e maggiore controllo del territorio perché non ne possono più dei continui furti”, si legge in una nota datata gennaio 2018. Da commercialista invece Infante si era messo al servizio di un sistema che favoriva l’arrivo di extracomunitari nella piana del Sele attraverso la violazione delle regole del ‘decreto flussi’.

Infatti, secondo i capi di imputazione dell’ordinanza, che ilfattoquotidiano.it è riuscito a leggere, Infante avrebbe ricoperto il ruolo cerniera di consulente del lavoro “delegato formalmente” dagli imprenditori agricoli collusi con il meccanismo. Il professionista si era ritagliato il compito di trattare le pratiche amministrative in Prefettura, Direzione territoriale del lavoro, Inps “di interesse dell’associazione”. Pratiche che Infante seguiva attraverso il proprio studio “sempre su disposizione di Hassan Amezghal”, ritenuto dagli inquirenti il “promotore, l’organizzatore e il capo dell’associazione a delinquere con base a Eboli e in altre località, dall’anno 2008”.

Il marocchino Amezghal è il personaggio chiave dell’inchiesta, il sole intorno al quale ruotava il tutto: era lui a fornire a Infante le informazioni necessarie, ed in particolare quelle riguardanti “le domande flussi ideologicamente false” necessarie per il rilascio dei permessi di soggiorno stagionale per motivi di lavoro. Domande gestite per via telematica nell’ambito del cosiddetto “decreto flussi”. L’organizzazione aveva messo in piedi un sistema per falsificarle ogni migrante era disposto a sborsare dai 5mila ai 12mila euro per conquistare il permesso. Gli imprenditori coinvolti, titolari di aziende agricole o masserie, alimentavano una domanda fittizia di personale, la cui gestione veniva poi affidata ad Infante. Nella maggior parte dei casi, una volta che il migrante, per lo più di provenienza marocchina, arrivava in Italia con regolare visto, emesso in forza di una richiesta nominativa di assunzione avanzata da uno degli imprenditori complici, la procedura non veniva completata con la sottoscrizione del contratto di lavoro.

L’ordinanza firmata dal gip Giovanna Pacifico elenca minuziosamente il numero, le date e i nomi delle domande flussi fasulle inoltrate da Infante via computer al Viminale tra il 2015 e il 2016 (molte delle quali risultano compiute l’8 maggio 2015). In un caso del giugno 2015 Infante avrebbe fatto da tramite tra una masseria e il ministero per chiedere il nulla osta al lavoro di un extracomunitario che nei mesi successivi sarà colpito da un ordine del Questore di Reggio Calabria di uscire dallo Stato. Infante è indagato anche per truffa e falso ideologico per due episodi relativi a una indennità di disoccupazione erogata grazie a documenti falsi, e ad una assunzione rivelatasi fasulla: il lavoratore che risultava impiegato nell’azienda agricola indicata sulla comunicazione Unilav, in quel periodo si trovava in Marocco.

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