Gli italiani non sono “Ladri di bambini”. La notizia di reato era infondata. Pochi giorni fa il Tribunale di Milano ha emesso un decreto di archiviazione del procedimento penale a carico dei vertici di “Aibi – Amici dei bambini”, ente di San Giuliano Milanese attivo nelle adozioni internazionali in Congo dal 2007. Erano stati indagati nel 2017 per presunti gravi reati a seguito di una serie di esposti depositati alla Procura di Roma a partire dal 2014 dall’allora vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali, Silvia Della Monica. L’indagine era stata poi trasferita a Milano per competenza territoriale. L’associazione, secondo l’ipotesi originaria di Della Monica, aveva utilizzato il denaro offerto come donazione dagli aspiranti genitori per corrompere le autorità giudiziarie e di polizia congolesi per carpire l’emissione di “decreti di adottabilità” di minori, che sarebbero stati così “comprati” e sottratti alle legittime famiglie naturali per essere poi avviati ad adozioni in realtà non necessitate.

Lo scandalo internazionale è stato raccontato a puntate dal settimanale L’Espresso, a partire da una copertina dal titolo allarmante: “Ladri di bambini. Inchiesta choc” poi premiata come “copertina dell’anno”. A distanza di tre anni da quella pubblicazione e cinque dalle prime accuse, il castello di reati ipotizzati si è rivelato – per dirla con le parole del gip Sofia Fioretta – infondato nel merito: “Non sussistono concreti elementi processuali, nemmeno indiziari, per ipotizzare o sostenere in un giudizio che AiBi avesse “pagato” i genitori naturali come corrispettivo per potere avvivare all’adozione i loro figli”. Così per gli altri gravissimi capi d’accusa, che andavano dall’associazione a delinquere alla violazione delle norme sulle adozioni, fino all’ipotesi di maltrattamenti.

Il decreto di non luogo a procedere, che pubblichiamo per intero (SCARICA), è importante perché, oltre a riabilitare gli imputati e l’ente milanese, solleva il settore delle adozioni da un’ombra infamante fatta calare per anni senza una ragione fondata. Su un settore già alle prese con numeri in picchiata rispetto al passato. La decisione che archivia una lunga stagione di veleni lascia intravedere la responsabilità di un pezzo dello Stato, quella Commissione Adozioni Internazionali (CAI) che il legislatore ha posto direttamente sotto l’ombrello della Presidenza del Consiglio, tanto alta e delicata è la sfera di diritti che doveva tutelare, insieme alla legalità nelle procedure di adozione. Ebbene, il decreto racconta oggi come proprio da quella posizione, invece, sia stata scritta una pagina nera nella quale l’autorità pubblica “ha travalicato i propri poteri istituzionali e commesso un abuso di potere”. Così scrive il Gip a pagina 22 del decreto.

Nello specifico, il giudizio è riferito alle decisioni assunte da Silvia Della Monica a dicembre 2014, quando revocò in massa i mandati all’associazione sulla base dei sospetti mossi da alcune coppie e dispose il trasferimento nottetempo dei minori dall’orfanotrofio di Goma a quello di Kinshasa, senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria congolese e anzi “in spregio a un’ordinanza del giudice competente”. Il Fatto.it aveva raccontato la furiosa reazione del presidente del Tribunale di Goma: a distanza di cinque anni, è un giudice a stigmatizzare quella condotta.

Il decreto dice anche altro. Contesta l’incongruenza della autorità che aveva denunciato l’ente senza però averlo mai revocato o sospeso, neppure richiamato, pur avendone il potere e anche il dovere, per impedire la reiterazione dei presunti reati. Qualora le accuse mosse avessero avuto un qualche fondamento. Il giudice Fioretta rileva come neppure la verifica amministrativa aperta nel 2014 abbia avuto seguito. Così, il Gip è costretto ad allargare le braccia e constatare che “tale circostanza all’evidenza non può non porre in una luce di non completa attendibilità le plurime e articolate segnalazioni dalla stessa effettuate circa la opacità e le rilevanti irregolarità riscontrate dell’ente Aibi”.

L’anomalia delle condotte dell’ex magistrato Della Monica, va detto, non è una novità assoluta. Due anni fa il Fatto.it aveva dato conto delle carte di un vero processo, quello che si va celebrando da tempo a Savona contro i titolari dell’ente Airone per truffa sulle adozioni in Kirghizistan, da cui emergeva l‘interventismo al limite del lecito dell’ex magistrato che avvisava gli indagati di “non usare il cellulare”, faceva sparire dal suo ufficio “documenti pericolosi” nel cuore della notte, usava le coppie come contraltare alle critiche e gli ex colleghi di partito per condizionare il vento della politica a favore della propria riconferma a capo dell’autorità. Solo allora il governo in carica, presieduto da Paolo Gentiloni, nominò il giudice minorile Laura Laera che da allora ha lavorato per ricostruire la fiducia compromessa tra istituzioni, famiglie, enti. Nonché l’immagine e la reputazione dell’autorità di controllo.

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