Frenata, recessione, metamorfosi. Le chiavi di lettura per decifrare la situazione economica cinese abbondano, a testimonianza di quanto diagnosi e prognosi siano complicate. Il tema della fine della corsa cinese è ricorrente e da anni ricompare periodicamente, per ora le previsioni più negative sono sempre state smentite. Secondo l’economista e responsabile delle ricerche sui paesi asiatici per Ispi Alessia Amighini, questa volta siamo però davvero a una sorta di resa dei conti. Da elementi di spinta che erano, fattori demografici e finanziari si stanno trasformando in freni. “I motori che hanno sostenuto l’economia cinese in questi anni, come l’aumento della popolazione o l’abbondanza di liquidità stanno esaurendo la loro forza propulsiva, spiega Amighini. “Le autorità cinesi sono state molto abili in questi anni nel controllare il sistema economico ma l’economia si può manovrare nel breve periodo, mentre nel lungo servono politiche strutturali che la Cina non è ancora del tutto pronta a fare. Ora la situazione sta sfuggendo di mano, il sistema avrebbe bisogno di più apertura, di respirare, ma Pechino non vuole intraprendere questa strada”.

Pil stimato a +6%, ma potrebbe essere falsato – Secondo le stime ufficializzate martedì dal premier Li Keqiang durante l’Assemblea nazionale del popolo cinese, il pil dovrebbe crescere quest’anno tra il 6 e il 6,5%, l’incremento più basso degli ultimi 28 anni, ultimo atto di un rallentamento iniziato nel 2011. Sull’affidabilità delle statistiche ufficiali cinesi, tuttavia, nessuno è pronto a mettere la mano sul fuoco. In particolare il dato del pil potrebbe essere falsato da un deflatore (la cifra che serve per depurare la crescita economica dall’aumento dei prezzi) non aderente all’inflazione. “Al di là del dato preciso”, spiega ancora la professoressa Amighini, “la tendenza è quella di un rallentamento e Pechino ha sempre meno munizioni per combattere questo trend”. Gli osservatori esterni sono peraltro abituati a guardare anche altri indicatori (consumi di elettricità, vendite, indici ecc) per delineare un quadro più veritiero della situazione. C’è così chi si spinge ad ipotizzare che l’incremento del prodotto possa fermarsi al 2%. Stima che pare un po’ troppo pessimistica sebbene i segnali siano tutti piuttosto preoccupante e i dati negativi si stiano moltiplicando. Non a caso il governo ha annunciato un maxi taglio delle tasse alle imprese da da 300 miliardi di dollari per tentare di spingere la crescita.

Per il mercato auto prima contrazione dal 1990. Giù la vendita di smartphone – L’indice Caixin Pmi, messo a punto da una società privata per monitorare l’andamento delle imprese medio piccole che non rientrano nelle statistiche ufficiali, ha registrato un inizio 2019 con il freno a mano tirato. Quello di febbraio ha confermato la fase di contrazione dell’attività economica, attestandosi a quota 49,9. E quello dei servizi è a 51,1 punti, decisamente peggiore dei 53,5 attesi dal consensus. Grandi gruppi industriali come Ford e Volkswagen hanno rivisto in negativo le loro previsioni di vendita in Cina a seguito di un rallentamento degli ordini. Dopo una crescita ininterrotta che durava dal 1990 il mercato cinese delle quattro ruote è, dallo scorso giugno, in contrazione. Le vendite di smartphone sono scese nell’ultimo trimestre del 2018 del 9,7%, con Apple particolarmente colpita dal meno 20% del suo Iphone. La sbandierata guerra dei dazi con gli Usa – che si è combattuta più con le minacce che con colpi veri e propri e potrebbe concludersi a breve con un accordo – ha avuto sinora un impatto più psicologico che reale.

Crescita trainata dagli investimenti. Finanziati con il debito – Sviluppi negativi avrebbero effetti più concreti ma non sono certo il cuore del problema. Contrariamente a quel che spesso si crede, il vero volano della crescita cinese di questi decenni sono stati non l’export ma gli investimenti. “Per spingere la crescita si è utilizzato il credito facile in modo davvero esagerato e distorsivo e ora le aziende hanno livelli di indebitamento altissimi che devono in qualche modo essere ricondotti su soglie più accettabili”, spiega ancora Amighini. Il debito delle imprese si attesta ormai sopra il 150% del Pil cinese e cresce pressoché ininterrottamente da 10 anni. Il sistema è molto chiuso: banche di stato che finanziano aziende di stato. Per le aziende più piccole prosperano invece circuiti alternativi di finanziamento, il cosiddetto shadow banking. Termine che restituisce un’idea peggiore di quanto realmente non sia. Si tratta infatti di tutti quei soggetti finanziari che in virtù della loro natura giuridica e struttura, non sono sottoposti alle stesse regole delle banche ordinarie, da cui passano ormai quote importanti dei flussi di denaro del sistema finanziario, anche nei paesi occidentali.

Il salvataggio mascherato delle banche – Lo scorso gennaio la Banca centrale cinese ha condotto una sorta di salvataggio mascherato delle banche, spacciandolo come una semplice iniezione di liquidità. Prima ha messo a disposizione liquidità per 570 miliardi di yuan (circa 80 miliardi di euro), poi ha invitato le banche ad emettere obbligazioni perpetue, ossia senza scadenza. Questa a-temporalità permette a questi bond di entrare a far parte della parte più pregiata del capitale di una banca rafforzandone la solidità e consentendo quindi di aumentare il credito erogato. Questo accade naturalmente nel momento in cui i bond vengono effettivamente venduti sul mercato, cosa non scontata visto lo scetticismo con cui gli investitori guardano al sistema bancario cinese gravato da un’ingente mole di crediti deteriorati. La Banca centrale cinese ha però deciso che i bond perpetui potranno essere scambiati con la sua moneta bancaria, facilmente utilizzabile come collaterali per ottenere altri prestiti. Inoltre le banche potranno rivolgersi alla banca centrale cinese per ottenere linee di credito fornendo questi bond come garanzia. Non solo. Lo stesso giorno in cui è stata annunciata questa operazione, l’autorità cinese che vigila su banche ed assicurazioni ha specificato che le imprese assicurative potranno comprare i titoli perpetui emessi dalle banche. È l’ennesima dimostrazione di come operi un sistema chiuso, che può facilmente “aggiustare” la situazione nell’immediato ma con il rischio di rimandare la resa dei conti con problemi che nel frattempo si allargano e si ingigantiscono.

Pechino è alle prese con un ardito esercizio di equilibrismo finanziario. Sgonfiare le bolle finanziarie prodotte dall’eccesso di credito senza penalizzare troppo l’economia. Il tutto nel mezzo di una trasformazione socio demografica. La Cina è un paese che sta invecchiando rapidamente, oggi l’età mediana è di 38 anni, nel 2050 sarà salita a 48. Dalla politica del “figlio unico” si è così passati ai sussidi a chi fa figli. Da paese produttore è sempre più paese consumatore e quindi anche importatore. Già nel 2012, nel “best seller” socio economico Perché le nazioni falliscono, gli economisti Daron Acemoglu e James Robinson avanzavano dubbi sul fatto che un sistema scarsamente inclusivo come quello cinese fosse davvero destinato a una crescita inarrestabile. “Sicuramente in termini assoluti le dimensioni dell’economia cinese supereranno gli Stati Uniti ma se si guarda alla qualità di questa crescita il discorso è diverso, in termini di Pil pro capite la distanza rimane ad esempio abissale”, ragiona la professoressa Amighini. “Per come è strutturato il sistema quella cinese non sembra essere ancora un’economia in grado di reggersi da sola e di fare a meno di stimoli che ne spingano la crescita” .

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