La sinistra italiana che non c’è dice di voler ripartire dai bisogni della gente, dalla base, dall’unità, da questo e da quello. Insomma, come troppo spesso accade in Italia, la politica si fa con proclami e aperitivi; prima le geometrie interne, poi – eventualmente – i programmi e la base.

E se invece, a tre mesi dalle Europee, per una volta fosse la politica a venire prima di tutto? Ai partiti che associano “sinistra” alla loro attività non mancherebbero certo i temi su cui costruire la riscossa: sono tutti là fuori, i temi, già letteralmente là fuori e non hanno nulla a che vedere con l’immigrazione (almeno non direttamente). Non bastano più i proclami pre-congressuali, gli inutili manifesti elettorali pieni di nulla, le dichiarazioni intrise di marketing “per unire”, i bocconiani in camicia bianca e sorriso da agente immobiliare, come se un partito fosse un’assemblea dei soci, e le sciatte formule tanto generiche e tanto bollite da non far più presa su nessuno.

Non basta più scrivere “mettiamo l’ambiente al centro dell’agenda” o usare il marketing verde (greenwashing) per sembrare più belli e ottimisti: ora serve sapere, cara sinistra, se vuoi tornare a vincere, in quanti anni pensi di ridurre la Co2 nell’aria, quale road map intendi imporre alle aziende affinché riducano le emissioni nocive, come intendi sostituire carbone e petrolio. Quando spariranno le automobili che inquinano e come intendi sbarazzarti di buste e involucri di plastica dal packaging.

Chi paga? Quella verde è una rivoluzione soprattutto economica, ma una rivoluzione che non sta arrivando dall’alto. Anzi: governi liberali e multinazionali la osteggiano in ogni modo. E invece la necessità di riconvertire tutto, e in fretta, offre infinite opportunità e soprattutto ti permetterà di superare il “rebus dell’Ilva”: salvo l’ambiente o i posti di lavoro? Qui salvi tutto. Green is the new red.

Sarebbe utile, magari, rinunciassi a quell’antistorico approccio thatcheriano “trickle down” che tanto piace a Confindustria: detassiamo, rendiamo i ricchi ricchissimi e a pioggia, così la loro ricchezza creerà altra ricchezza e posti di lavoro. Certo, come no: tra paradisi fiscali e Paesi-condotto nell’Ue (Benelux, Cipro, Malta, Irlanda), l’alta mobilità della ricchezza ha creato migliaia di posti di lavoro. Commercialisti e avvocati maghi dell’elusione fiscale non sono stai mai tanto ricercati. Liberisti tremate: è ora di redistribuire. Meglio così, no?

E magari, sempre in termini di utilità, sarebbe utile ricominciassi a parlare di pubblico, di regole, di tasse. Già, di tasse. Anzi, di “tasse, tasse, tasse”, per dirla con lo storico olandese Rutger Bergman che a Davos quasi faceva prendere un colpo al golf club del World economic forum: parlare di tasse in quel consesso è come bestemmiare in Chiesa. E lui, in effetti, intellettuale della nuova sinistra olandese, in Italia sarebbe deriso e sbeffeggiato perché è un fautore del basic income (reddito di cittadinanza): mille euro a tutti per evitare i lavori-schiavitù.

Già, sinistra cara, quando tornerai a parlare di “qualità” invece che di “quantità” come farebbe un neo-liberista qualunque? Quando la smetterai di pavoneggiarti per aver creato posti di lavoro da commesso a Carrefour, da cyborg-magazziniere ad Amazon e da barista a Starbucks, quando centinaia di migliaia di giovani se ne vanno e non torneranno più? E soprattutto, quando oserai far cadere un altro tabù (viene quasi da ridere che sia diventato un tabù per la sinistra) e ricomincerei a parlare di “ripubblicizzazione” dei gioielli di famiglia svenduti negli ultimi anni? Case, sanità, istruzione, acqua, oltre ai freni agli effetti antisociali della gig economy? Non solo di mercati facilmente impressionabili o di investimenti si vive, soprattutto se non c’è un disegno, una “big picture”.

E non parliamo della casa, un diritto riconosciuto dall’Onu ma negato dagli immobiliaristi. Per te, cara sinistra, l’interesse generale dovrebbe venire prima, giusto? E allora perché l’Italia ha uno stock ridicolo di case popolari (a Roma si parla di appena il 5%) mentre le capitali del neoliberismo, Londra e Amsterdam, hanno rispettivamente il 30% e il 50% dello stock in affitto a prezzo bloccato? Sinistra vuol dire tutelare il valore degli immobili e della speculazione oppure tutelare il diritto a un tetto sulla testa per tutti? Anche a voler essere cinici, e quindi puntare sugli speculatori, il pragmatismo nordico ci insegna che dare casa e soldi ai poveri previene rivolte. Eh già, sinistra, se proprio non riesci a demachiavellizzarti, almeno fatti furba.

E mentre cerchi improbabili leader (leggi Carlo Calenda) o sfogli l’agendina alla ricerca dei numeri di telefono degli ex, tu una leader ce l’hai già; non dovresti faticare a vederla. Sì, è una donna. È concreta, come dovrebbe essere una leader di sinistra, non è compromessa più di tanto con i battibecchi nazionali da cortile, non strilla e non passa il tempo sui social; non è una rivoluzionaria, certamente, ma ha grinta da vendere. E grazie soprattutto a lei, l’Europa aveva quasi adottato un regolamento di Dublino che poteva dare un colpo duro a un certo populismo xenofobo ed evitare di scaraventare il continente cent’anni indietro. Non hai capito di chi parlo? Guarda bene, guarda al Parlamento europeo.

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