Il numero dell’Economist in edicola questa settimana dedica la copertina e l’articolo di punta al crescente interesse per il socialismo da parte della generazione dei Millennials. La scorsa settimana, il colosso big tech Amazon ha rinunciato al progetto di investimento da 2,5 miliardi in una nuova sede centrale a New York, a causa dell’opposizione di un certo numero di politici a livello locale e statale, decretando la vittoria ideale di Alexandria Ocasio Cortez, giovane parlamentare statunitense che si è autodefinita una socialista democratica.


In Italia, dai sovranisti al governo – che vorrebbero l’Italia prima anche nella musica alla radio – agli interventisti/protezionisti dell’opposizione – che si propongono di difendere le casalinghe di Pomigliano dalla globalizzazione – esiste un consenso largamente maggioritario sull’opportunità di un intervento politico per raddrizzare i guasti prodotti dall’azione del libero mercato. In questo contesto, appaiono quanto mai attuali ed estremamente utili le considerazioni fatte da Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni, nel suo ultimo saggio intitolato La verità, vi prego, sul neoliberismo. Il poco che c’è, il tanto che manca, edito da Marsilio.

Per quanto l’autore dichiari fin dalle prime pagine il proprio orientamento favorevole al libero mercato, il testo si presenta equilibrato, istruttivo e costituisce una lettura interessante anche per chi, nelle dinamiche del capitalismo e della globalizzazione, preferisce concentrarsi più sulle ingiustizie da correggere, che non sull’aumento nel benessere della collettività. Che lo si voglia combattere o promuovere come sistema di riferimento, comprendere cosa si intenda veramente per neoliberismo è un tema sicuramente rilevante, come testimoniato anche dal dibattito suscitato qualche tempo fa da alcuni economisti del Fondo monetario internazionale e di cui mi sono occupato su questo blog.

La prima parte del saggio si propone di analizzare in che misura le politiche neoliberiste siano state concretamente attuate, quali effetti abbiano prodotto e di come – a fronte di un neoliberismo “in senso proprio”, osservato e osservabile laddove si presenta – sia possibile e opportuno distinguerne una versione “in senso lato”, una “leggenda nera” che risponde più all’immaginaria costruzione di un nemico da parte dei suoi detrattori che non a un movimento culturale realmente esistente.

La seconda parte esamina i principali argomenti portati avanti dai detrattori del neoliberismo, ossia la necessità di un maggiore intervento dello Stato nell’economia e degli Stati nazionali nella circolazione internazionale delle merci e delle persone. Argomento, quest’ultimo, che ci porta inevitabilmente ad affrontare uno dei temi chiave del mondo contemporaneo: l’immigrazione.

Quali che siano le nostre preferenze personali, ci sono almeno tre interrogativi che tutti dovremmo porci e sui quali il saggio propone spunti interessanti e una narrazione inusuale, basata su documentate evidenze fattuali:

1. Esiste veramente il nemico neoliberismo, inteso come insieme di soggetti consapevoli, che tutte le forze politiche oggi sembrano intenzionate a combattere impiegando “più Stato”? O si tratta piuttosto di una costruzione nominale, un’utile arma di distrazione di massa, volta a distogliere l’attenzione degli elettori dalle responsabilità e dai risultati di chi da decenni governa impiegando “più Stato”?
2. Prima di attrezzarci per far fronte ai danni che “troppo mercato” e società “troppo aperte” possono portare ai più deboli, qualcuno si è occupato del fact checking su “quanto” mercato e “quanta” libertà di circolazione abbiamo effettivamente sperimentato finora?
3. Siamo sicuri che l’offerta di maggiore protezione, che oggi arriva da ogni estremo dello spettro politico, non vada in realtà intesa come la “protezione mafiosa” che tipicamente viene proposta dietro compenso da coloro i quali costituiscono le reali minacce?

In economia e in politica, il socialismo appare tornato in auge e si appresta a far leva sui sentimenti di coloro i quali si sentono delusi e ingiustamente lasciati indietro dai processi vorticosi della globalizzazione e dal progresso incessante dell’innovazione tecnologica. In queste circostanze, appare doveroso fermarsi a riflettere con lucidità su quali siano i costi effettivi, in termini di minore libertà individuale, di una maggiore ingerenza dello Stato nell’economia e nel commercio internazionale e valutare se siano adeguatamente compensati dai benefici materiali promessi. In quest’ottica, il saggio di Mingardi si propone come un utile strumento di informazione e di analisi per formare la propria opinione in modo obiettivo e basato su evidenze fattuali.

@massimofamularo

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