L’irruzione, una sedia scaraventata addosso, gli insulti, la fuga e il mistero su due colpi di pistola esplosi in aria. Alhaji Thuray ha 22 anni, è arrivato in Italia dalla Sierra Leone, lavora come custode di alcuni campi da calcio a Trepuzzi, in provincia di Lecce, e dalla notte tra il 21 e il 22 gennaio ha una spalla malconcia che guarirà in 20 giorni, come da prognosi dell’ospedale di Campi Salentina. Perché, ha denunciato ai carabinieri che ora indagano sulla vicenda, un gruppo di ragazzi lo ha aggredito per motivi razziali dopo le sue proteste per il chiasso, mentre loro festeggiavano fuori da una pizzeria e lui dormiva dopo una giornata di lavoro.

“Vai via nero, questa non è casa tua, vattene in Africa”. “Fanculo nero, questo non è il tuo Paese, vattene”, gli hanno urlato prima e dopo l’aggressione, ha raccontato Thuray, da otto mesi in Salento dopo un periodo a Ferrara perché qui ha trovato un lavoro onesto. Il ragazzo, difeso dall’avvocato e consigliere comunale Luigi Renna, fa il custode di alcuni campi da calcio e dorme in una piccola casa vicina agli impianti. “Sono stato svegliato di soprassalto da forti rumori, come se qualcuno bussasse alla mia porta”, ha messo nero su bianco nella denuncia presentata ai carabinieri. “Mi sono alzato e ancora intontito dal sonno, a porta chiusa, ho chiesto chi stesse bussando. Non mi hanno risposto e ho aperto la porta notando delle persone che stavano festeggiando qualcosa”, racconta ancora ai militari nell’Arma.

È in quel momento che – stando al suo racconto – parte il raid razzista. Non il primo, visto che il 6 ottobre aveva denunciato un episodio simile assieme a un suo connazionale. Uno degli uomini si avvicina e prende una sedia, con la quale lo colpisce “violentemente” alla spalla sinistra per poi tentare di entrare nella stanza insieme ad altri del suo gruppo. “Mentre terrorizzato all’interno della stanza sentivo l’aggressore che urlava: ‘Vai via nero… questa non è casa tua… vattene in Africa’“, cercavo una via di fuga”.

Thuray scappa dalla finestra, ma mentre scavalca – ormai dentro la stanza – viene nuovamente colpito. Si rifugia in un boschetto accanto alla sua stanza: “È venuto a cercarmi, ha aperto gli spogliatoi, i bagni, ma mi erano abbassato in mezzo alle erbacce e non è riuscito a trovarmi”, racconta il 22enne rifugiato della Sierra Leone. E allora l’aggressore si sfoga sulla sua stanza: “Sempre nascosto e immobile, infreddolito perché in pantaloncini, ho sentito che ritornava nella mia stanza, mettendola tutta a soqquadro”, dice fornendo le foto scattate subito dopo.

Quando non sente più nulla, torna nella casetta e chiama alcuni amici italiani, che avvisano la vigilanza privata. Ma alla presenza della guardia giurata, gli insulti del gruppo continuano: “Fanculo nero di merda, vai via, vattene al tuo paese, questo non è il tuo paese”, gli gridano. E nel frattempo uno di loro “mimava con la mano il gesto alla tempia dello sparare”. Finalmente arrivano i carabinieri e qui Thuray, forse sconvolto, vede una scena in maniera non nitida, che non riesce ben a definire: “Ho visto un ragazzo, che prima stava con gli aggressori, prendere qualcosa dal giubbotto, presumo una pistola e poi con il braccio al cielo sparava due colpi. Ho visto la pistola? No, ma mi sembravano proprio colpi di pistola”.

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