Vorrei parlare di due persone: il professor Carlo Cottarelli e Aurelio Peccei.

Il professor Cottarelli non abbisogna di presentazione. Persona dalla evidente correttezza e integrità professionale, oltre che competenza, lo stimo moltissimo, così come la grande maggioranza dei nostri connazionali. Aurelio Peccei pochi lo conoscono, ma è stato un grande, grandissimo italiano, un nome da Premio Nobel. Ne parlo anche in relazione a una piccola vicenda personale che mi ha portato nel 1984 a un contatto con lui che mi rimarrà sempre impresso. Fu uno dei più grandi italiani del secolo scorso; una persona poco conosciuta ma grandiosa, che aveva posto l’uomo al centro dell’Universo. Aurelio Peccei, il fondatore del Club di Roma cui si deve il libro I limiti dello sviluppo

Circa 35 anni fa, quando – giovane 42enne, pieno di impulsi conoscitivi – mi era interessato della sorte dell’oro (bene rifugio per eccellenza), era l’epoca in cui avvenivano dei cambiamenti sensibili nel mondo arabo, a seguito di una forte evoluzione del prezzo del petrolio che faceva affluire oro a palate nelle casse arabe. Avevo scritto un piccolo studio che andavo raccontando in diversi Rotary e diversi Lions club. Ero un ingegnere, non un economista e percepivo qualcosa al di fuori degli schemi in voga: raccoglievo consensi. Ma portavo in me una rilevante incertezza. Pensai di mandare queste mie idee ad Aurelio Peccei, che non avevo mai conosciuto, ma che per me era una figura di grandissimo valore e di grande umanità concreta. Gli chiesi, se possibile, un parere su quelle idee.

Con mia grande sorpresa, nel giro di una settimana mi rispose con una bellissima lettera che conservo gelosamente e il cui contenuto costituisce la ragione di questo mio post sul Fatto Quotidiano. Mi disse:

a) apprezzo e condivido le valutazioni da lei fatte sui problemi dell’oro (e, devo dire, trassi un bel sospiro di sollievo); b) stiamo varando e lanciando una iniziativa di studio macropolitico a Ginevra chiamata Forum Humanun. La invito a prendere contatto e a parteciparvi; c) voi economisti commettete tutti quanti un grosso errore: ritenete che l’economia costituisca il “grosso” della politica. Non è così, l’economia è semplicemente un mezzo per avvicinarci il più possibile alla felicità di tutti, per raggiungere la quale, però, esistono altre tematiche forse più importanti dell’economia, quali la giustizia, la sicurezza, la cultura, l’equità, la qualità della vita, l’utilizzo delle risorse terrestri e umane.

Circa il Forum Humanum dovetti rinunciarci. Avevo da poco abbandonato la carriera manageriale (a 39 anni ero un vicedirettore Fiat) per intraprendere, per mia scelta di vita, quella di consulente indipendente per la direzione aziendale e, con due figli piccoli, dovevo stare molto attento a impostare bene questa scommessa. Ma l’osservazione di cui al punto c) fu per me una vera a propria svolta filosofica. E così torniamo al professor Cottarelli.

La realtà è molto semplice: Cottarelli sta a Peccei come un radiologo sta ad un medico curante. Cottarelli ricopre un ruolo (molto dignitoso e assolutamente necessario, per carità) di formatore professionale delle informazioni e di controllo di ciò che avviene a fronte delle previsioni adottate; Peccei studiava e forma le previsioni. Non solo, mentre Peccei pensava e “prevedeva” esplorando al meglio tutti i settori che compongono la vita politica di un Paese, se togliamo lo scenario puramente “contabile-amministrativo” Cottarelli è sostanzialmente cieco.

Ma dove sta il busillis (la difficoltà)? Sta in un vezzo che discende da un’abitudine antica e ingannevole di confondere, specie in Italia, l’economia con la sola componente amministrativa. È un classico: discende da come è impostata la cultura nelle nostre scuole di economia. Qualche sera fa, seguendo la trasmissione di Di Martedì, fui molto colpito dalla tensione quasi rabbiosa fra Giovanni Floris e Cottarelli da un lato e Luigi Di Maio dall’altro. Era straevidente che si assisteva allo scontro fra due mondi che non comunicavano fra di loro. A mio parere Floris e Cottarelli recitavano un ruolo legato a un approccio tradizionale, vecchio, anche se corretto e necessario, sia ben chiaro; ma Di Maio parlava un altro linguaggio, suonava un’altra musica. E Floris e Cottarelli – due ottimi professionisti dalla evidente onestà intellettuale – non lo capivano.

Chissà come andrà il futuro, ma una cosa è sicura. Ed è che questo governo gialloverde ha avviato un approccio del tutto nuovo ed è anche sicuro che io sono dalla sua parte. Ed è pure opportuno che questa strabordante ossessiva presenza della parola “economia” nei problemi di politica (che poi è ormai diventata “finanza” ancor più che “economia”) ha un riscontro pazzesco nella realtà umana: ha concentrato la ricchezza sempre di più su una parte piccolissima della popolazione terrestre e ha dilatato a dismisura la povertà in tutta la restante parte: bingo, dottor Peccei!

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