La storia rimbalza dal Comune di Roma: quattro arresti e una decina di indagati per corruzione per aver “venduto” al mercato nero l’accesso velocizzato a documenti e servizi relativi a pratiche edilizie. Dai 40 ai 100 euro, con tanto di sconti per i clienti più affezionati, per consegnare in meno di due giorni atti e informazioni normalmente disponibili in due mesi.

Più di 25 anni dopo lo scandalo di Tangentopoli, la corruzione rimane una piaga nazionale. Per carità, di strada dai tempi di Mani pulite ne abbiamo fatta tanta, ma il fenomeno – come certifica di anno in anno Transparency International – è lontano dal potersi considerare sconfitto. Ed episodi come quello dell’ufficio edilizia del comune di Roma – analogo a centinaia di altri che si registrano ogni anno – lo confermano in maniera plastica.

Bene le leggi sempre più severe e bene, ovviamente, il lavoro dell’Anac, l’Autorità nazionale anti-corruzione; ma, dati e fatti alla mano, la sensazione è che non basti. Così non ce la possiamo fare. Serve una soluzione di sistema, serve un rimedio capace di estirpare vizi e tentazioni alla radice. Digitalizzare, digitalizzare, digitalizzare! Farlo bene e farlo in fretta. E questa è l’unica risposta possibile.

Il modello di business della cricca dell’edilizia capitolina consisteva nello spostare e far sparire fascicoli negli archivi, nel falsificare i titoli su cartelline e carpette, passare fogli di carta letteralmente sottobanco dopo aver manomesso il sistema di videosorveglianza. Una pantomima degna della pellicola in bianco e nero di Guardie e ladri. Trucchi e ricette di altri tempi che un po’ di sana digitalizzazione sarebbe, da sola, sufficiente a rendere semplicemente inutili allo scopo, inservibili, anacronistici, sorpassati dai tempi.

Perché se non c’è altro modo per accedere a un’informazione (o richiedere un servizio) che attraverso un sistema informatico che registra impietoso i dati del richiedente (e il momento della richiesta al centesimo di secondo), il secondo richiedente resta secondo e non ha modo di diventare primo, neppure pagando tutto l’oro del mondo. Il funzionario pubblico infedele è così costretto ad alzare le mani. La rigida logica dei bit lascia poco spazio a cricche e compagni di merenda.

Senza dire che digitalizzare, farlo sul serio – che non significa scansionare gli archivi cartacei e trasformarli in faldoni digitali, ma reingegnerizzare per davvero i processi – e farlo bene, potrebbe rendere almeno taluni servizi pubblici tanto efficienti da rendere sostanzialmente inutile il ricorso alla corruzione. Perché se chiunque – e non solo gli amici della cricca – può avere un documento, un atto o un servizio in un tempo ragionevole, la propensione a pagare per averlo prima cala vertiginosamente e far affari sul mercato nero diventa anti-economico.

Per carità, anche i sistemi informatici hanno i loro bachi; e frodi e truffe informatiche esistono da quando esistono i pc. Ma il digitale registra, traccia, ordina, mette in fila e racconta meglio e in modo più trasparente di quanto, normalmente, non sappiano fare le mura di un ufficio pubblico. Digitalizziamo, digitalizziamo e ancora digitalizziamo la Pubblica amministrazione. Non solo perché nel 2019 è semplicemente giusto così, ma perché non esiste altra ricetta per debellare per davvero la corruzione.

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