“Dal 1983, l’Interruzione Volontaria di Gravidanza è in continua e progressiva diminuzione in Italia, attualmente il tasso di abortività del nostro Paese è fra i più bassi tra quelli dei Paesi occidentali”: è l’incipit delle conclusioni del ministro della Salute, Giulia Grillo, alla relazione sull’attuazione della legge 194 (qui l’inchiesta di Fq MillenniuM 40 anni dopo la legge) che fa il punto sui dati e la situazione italiana per le interruzioni volontarie di gravidanza nel 2017 e che il Fatto Quotidiano ha potuto leggere in anteprima. Il 17 gennaio scorso Emma Bonino ha depositato una interrogazione urgente per un ritardo di 11 mesi nella sua pubblicazione e a febbraio 2019 era atteso il report sul 2018, che a questo punto ritarderà ancora. Un ritardo che ha riguardato tutti i ministri che si sono succeduti dal 2000 in poi, ma che adesso, come ha rilevato Bonino ha raggiunto il record.

Il ministero della Salute quindi, nel comunicare i dati, ha anche garantito che “dall’anno 2018 il monitoraggio e le modalità di acquisizione da parte dell’Istat dei dati delle indagini sulla salute riproduttiva (quindi anche quella sulle IVG) sono variate”: “L’Istat”, si legge nella nota, “ha infatti predisposto un’unica piattaforma web tramite la quale vengono raccolte le informazioni e svolte le varie attività”. Proprio “il passaggio dai vecchi sistemi a questa piattaforma sta avvenendo in maniera graduale”, quindi “anche il 2019 sarà un anno di transizione per poter arrivare al 2020 al completo utilizzo del nuovo strumento”.

I numeri assoluti. Si parte dai numeri assoluti. Nel 2017 sono state notificate 80.733 interruzioni volontarie di gravidanza: -4.9% rispetto al 2016 e -65.6% rispetto al 1982. Diminuiscono soprattutto in Liguria, Umbria, Abruzzo e Bolzano, mentre Trento è l’unica con un lieve aumento di interventi. Il tasso di abortività (numero di interruzione volontaria di gravidanza rispetto a 1000 donne di 15-49 anni residenti in Italia) è pari a 6,2 per 1000 nel 2017, con un decremento del 3,3% rispetto al 2016 e con una riduzione del 63.6% rispetto al 1982. A contribuire, negli ultimi anni, le norme che hanno eliminato, rispettivamente, per le maggiorenni, l’obbligo di prescrizione medica dell’Ulipristal acetato (ellaOne), la cosiddetta “pillola dei 5 giorni dopo”, e del Levonorgestrel (Norlevo), nota come “pillola del giorno dopo”. La loro vendita risulta in costante aumento: ellaOne è passata dalle 189mila confezioni del 2016 alle 224mila del 2017. Norlevo passa dalle 214mila del 2016 alle 335mila del 2017.

Caratteristiche delle donne. I tassi di abortività più elevati sono fra i 25 e i 34 anni. Il 46.7% delle donne italiane che hanno abortito era in possesso di licenza media superiore, mentre il 45.5% delle straniere aveva la licenza media. Il 44,1% delle italiane risultava occupata (in diminuzione rispetto al 2016, quando le occupate erano il 47.4%), stabile il numero delle disoccupate (21,1%). Il numero delle nubili (59.4%) è in aumento e superiore a quella delle coniugate (34.3%), mentre nelle straniere le percentuali sono molto più simili (46,5% le coniugate, 48,1% le nubili). Il 44,0% delle donne italiane che ha eseguito una interruzione di gravidanza non aveva figli.

Donne straniere.“Dopo un aumento importante nel tempo, le interruzioni volontarie di gravidanza fra le straniere si sono stabilizzate” si legge nella relazione. Rappresentano 30,3% di tutti gli aborti volontari, un valore simile a quello del 2016 (30%). E’ in diminuzione anche il loro tasso di abortività ma “permane una popolazione a maggior rischio di abortire rispetto alle italiane: per tutte le classi di età le straniere hanno tassi di abortività più elevati delle italiane di 2-3 volte”. Si legge ancora: “In generale la popolazione immigrata è soprattutto presente nelle regioni del Centro Nord dell’Italia. Si tratta in ogni caso di donne generalmente residenti o domiciliate nel nostro Paese”. La relazione segnala poi che “da studi condotti negli anni dall’ISS, l’Istituto Superiore della Sanità, e altri enti emerge che il più frequente ricorso all’IVG da parte delle donne straniere può dipendere da una loro scarsa conoscenza della fisiologia della riproduzione e dei metodi per la procreazione responsabile e dalle condizioni di vita e non da una scelta di utilizzare l’IVG come metodo per il controllo della propria fecondità (Rapporto ISTISAN 06/17)”.

Minorenni. Tra le minorenni, invece, il tasso di abortività per il 2017 è pari a 2,7 per 1000, valore inferiore (-6,9% è il calo per le under 20) a quello del 2016, con livelli più elevati nell’Italia centrale. I 2.288 interventi effettuati per minorenni sono pari al 2,8% di tutte le interruzioni di gravidanza (erano il 3% nel 2016). “Confrontato con i dati disponibili a livello internazionale, si conferma il minore ricorso all’aborto tra le giovani in Italia rispetto a quanto registrato negli altri Paesi dell’Europa Occidentale – si legge nella relazione – in linea con la loro moderata attività sessuale e con l’uso estensivo del profilattico riscontrati in alcuni recenti studi”.

I tempi. Il 48,9% degli interventi è stato effettuato entro le 8 settimane di gestazione (rispetto al 46,8% del 2016), il 12,4% a 11-12 settimane e il 5,6% dopo la 12esima settimana. La percentuale entro 8 settimane è aumentata negli ultimi anni (nel 2012 era pari al 41.8%). Continua la tendenza all’aumento del ricorso alla procedura d’urgenza: è avvenuto nel 19.2% nel 2017 rispetto al 17.8% dei casi del 2016. Percentuali superiori alla media nazionale si sono osservate, come negli anni passati, in Puglia (38.9%), Piemonte (34.6%), Lazio (34.4%), Abruzzo (24.6%), Emilia Romagna (24.2%) e in Toscana (22.3%).

I metodi. “La metodica dell’isterosuzione secondo Karman rappresenta la tecnica più utilizzata anche nel 2017 (50.5% dei casi)”, si legge nel rapporto. Ma, secondo i dati, è in aumento il ricorso all’aborto farmacologico: “Nel 2017 il mifepristone con successiva somministrazione di prostaglandine è stato adoperato nel 17.8% dei casi, rispetto al 15,7% del 2016. Per il 2017 tutte le Regioni sono state in grado di fornire l’informazione dettagliata del tipo di intervento (suddivisione dell’aborto farmacologico in “Solo Mifepristone”, “Mifepristone+prostaglandine” e “Sola Prostaglandina”) che nel suo insieme è stato pari a 20.5%. “Il ricorso all’aborto farmacologico, tuttavia, varia molto fra le Regioni”. Valori percentuali più alti si osservano nell’Italia settentrionale, in particolare in Liguria (41% di tutte le IVG nel 2017), Piemonte (38,9%), Emilia Romagna (31,8%), Toscana (26,6%) e Puglia (26%). “Non si sono evidenziate grandi differenze sulle caratteristiche socio-demografiche delle donne che hanno fatto ricorso a questo metodo – spiega la relazione – anche se in generale sono meno giovani, più istruite, in maggior proporzione di cittadinanza italiana e nubili rispetto a tutte le altre che hanno abortito con altra metodica”.

Aborti clandestini. Per la loro natura “clandestina”, questo tipo di aborti può essere solo stimato sulla base di modelli matematici che, agiornati agli ultimi due anno, indicano in “valori instabili, seppur compresi in un intervallo abbastanza ristretto che va dai 10.000 ai 13.000 casi” il numero degli aborti clandestini in Italia.

Consultori. Si continua a rivolgersi ai consultori: anche per il 2017 il consultorio familiare ha rilasciato più documenti e certificazioni (43,6%) degli altri servizi. Le regioni con valori di molto superiori alla media nazionale, indicatore di un ruolo più importante del consultorio, sono le stesse degli anni precedenti: Emilia Romagna (70.5%), Piemonte (64.6%), PA di Trento (63.4%) e Umbria (62.2%). “In generale si osservano percentuali più basse nell’Italia meridionale ed insulare, probabilmente a causa della minor presenza dei servizi e del personale”.

Obiettori di coscienza: quante strutture. Alto il numero di obiettori di coscienza tra i ginecologi: 68,4%, seppur in linea con il 2016. “Tuttavia – spiega la relazione – per capire quale impatto tali percentuali abbiano sulla disponibilità del servizio e sul carico di lavoro degli operatori non obiettori si è ritenuto opportuno effettuare un monitoraggio ad hoc, a livello di singola struttura”. Tra gli anestesisti la percentuale è pari al 45,6%, al 38.9% tra il personale medico. Rimangono altissimi i dati degli obiettori ad esempio in Molise (96.4 per cento dei ginecologi e 71.9% degli anestesisti); Basilicata (88% dei ginecologi; 71 % degli anestesisti); Bolzano (85% dei ginecologi e 63.3% degli anestesisti).

Per quanto riguarda le strutture, è presente il servizio di interruzione volontaria nel 64,5 per cento di quelle che hanno un reparto di ostetricia e/o ginecologia (era il 60.4% nel 2016). In Molise, Campania e a Bolzano le percentuali minori. Al sud e al centro, la media è attorno al 50%. “Ogni 10 strutture in cui si fa l’IVG, ce ne sono 11 in cui si partorisce – precisa poi il rapporto – Ci avviciniamo a un rapporto di 1:1, nonostante le interruzioni di gravidanza siano il 17.6% delle nascite”. Scendendo nel dettaglio, in alcune Regioni c’è un numero maggiore o uguale di punti per abortire rispetto a quello dei punti nascita (Piemonte, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Sardegna) “addirittura in controtendenza rispetto al rapporto fra nascite e interruzioni”.

Riorganizzazioni? A questo proposito viene quindi fatta una precisazione ‘programmatica. “È importante ricordare – spiega il rapporto – che un obiettivo della politica sanitaria italiana, secondo l’Accordo Stato-Regioni del dicembre 2010, è quello della messa in sicurezza dei punti nascita, che prevede una riorganizzazione degli stessi con la chiusura di quelli in cui si effettuano meno di 500 parti l’anno. L’obiettivo è concentrare i parti in strutture più adeguate, con requisiti strutturali, tecnologici e di dotazione di personale in numero adeguato e con più esperienza. Secondo tale approccio sarebbe opportuno monitorare, per quanto riguarda le interruzioni volontarie di gravidanza, i punti che ne effettuano poche, analogamente a quanto accade per i punti nascita. Tale considerazione vale ancor di più per quelle tardive, dopo il primo trimestre di gravidanza, casi in cui l’intervento andrebbe eseguito solo nelle strutture con un reparto di terapia intensiva neonatale”.

Il carico sui non obiettori. Anche il carico di lavoro medio settimanale di ogni ginecologo non obiettore è variato di poco rispetto agli anni precedenti. Il numero di interventi di interruzione, settimanalmente, va dalle 0.2 della Valle d’Aosta alle 8.6 del Molise, con una media nazionale di 1.2 a settimana, dato in calo. “Non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attività. Quindi gli eventuali problemi nell’accesso al percorso potrebbero essere riconducibili ad una inadeguata organizzazione territoriale”.

Se rapportati al numero di interventi per struttura, invece solo due casi si discostano molto dalla media regionale e superando il riferimento ottimale di nove interventi di interruzione settimanali): una in Sicilia, con 18,2 aborti a settimana, (rispetto alla media regionale di 2,4) e una in Campania, con un carico di lavoro settimanale pari a 13.6 (rispetto alla media regionale di 3.5). “Inoltre si segnala che ben 13 strutture risultano aver effettuato IVG pur non avendo in organico ginecologi non obiettori, dimostrando la capacità organizzativa regionale di assicurare il servizio attraverso una mobilità del personale”.

Gli squilibri. E’ stato poi chiesto alle regioni se ci fossero ginecologi non obiettori non assegnati al servizio. E’ emerso che a livello nazionale il 9.8% dei ginecologi non obiettori nel 2017, pari a 146 ginecologi, è assegnato ad altri servizi e non a quello di interruzione volontaria di gravidanza, cioè non ne effettua pur non avvalendosi del diritto all’obiezione di coscienza. Si tratta di una quota rilevata in 146 strutture di otto regioni: Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Campania, Puglia, Sicilia, Sardegna. “Un’ulteriore conferma del fatto che, in generale, non sembra essere il numero di obiettori di per sé a determinare eventuali criticità nell’accesso all’IVG, ma probabilmente il modo in cui le strutture sanitarie si organizzano nell’applicazione della Legge 194/78” si legge.

E nei consultori? Non pervenuto. “Sono stati raccolti i dati per l’85% dei consultori. E’ stato richiesto, come gli anni precedenti, il numero di donne che hanno effettuato il colloquio previsto dalla Legge 194/78, il numero di certificati rilasciati, il numero di donne che hanno effettuato controlli post IVG (in vista della prevenzione di IVG ripetute). Non è stato ritenuto utile rilevare il numero di ginecologi obiettori di coscienza in quanto il dato rilevato negli anni precedenti non aveva rilevato criticità”. La raccolta dati è stata però e difficoltosa “considerando anche la grande difformità territoriale dell’organizzazione dei consultori stessi, che mutano spesso di numero a causa di accorpamenti e distinzioni fra sedi principali e distaccate, la cui differenziazione spesso non è chiara e risponde a criteri diversi fra le diverse regioni”. Inoltre è emerso che “molte sedi di consultorio familiare sono servizi per l’età evolutiva o dedicati agli screening dei tumori femminili pertanto non svolgono attività connesse al servizio di interruzione volontraria di gravidanza”.

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