Autonomia economica, maggiore tutela su condizioni di lavoro e di salute e un peso diverso quando bisognerà mettersi al tavolo e discutere di contratti o di leggi che riguardano i militari. La firma dell’atto di riconoscimento da parte della ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, della prima associazione a carattere sindacale delle forze armate, nello specifico dell’Arma dei carabinieri, è effettivamente “una svolta storica per il mondo militare” così come l’hanno definita fonti di palazzo Baracchini. Ma è altrettanto vero che il passaggio da un sistema (quello attuale della cosiddetta ‘rappresentanza militare’) a un altro, affidato per la prima volta a sindacati, porta con sé anche malcontenti e qualche perplessità, per esempio rispetto alle competenze e a chi può o meno costituire sindacati e ricoprire cariche.

IN ATTESA DI ESSERE OPERATIVI – Già dalle prossime ore il ministro dovrebbe firmare il riconoscimento di altre associazioni le cui richieste (decine quelle già presentate) rispondono ai criteri della Corte costituzionale, che lo scorso aprile aveva abrogato il divieto per i militari di riunirsi in sindacati. Tra queste il Siulm (Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Militari) fondato dal maresciallo dell’Aeronautica Salvatore Rullo, che il 3 luglio 2018 (dopo la sentenza della corte Costituzionale) aveva depositato l’atto costitutivo. A sei mesi di distanza, si aspetta di iniziare a operare. L’iter che si sta seguendo è il seguente, spiega Rullo: il sindacato chiede l’assenso alla ministra che, a sua volta, trasmette ai vertici militari statuto e atto costitutivo per un parere non vincolante, ricevuto il quale conclude la pratica e dà l’ok definitivo.

L’ADDIO ALLA SISTEMA DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE – Per capire perché si parla di “svolta storica” occorre fare un passo indietro. Da chi sono stati rappresentati i militari finora? A spiegarlo a ilfattoquotidiano.it è proprio Salvatore Rullo. “Finora non abbiamo mai avuto la minima tutela su diritti fondamentali come quello al lavoro e alla salute – commenta il maresciallo – perché per 40 anni avrebbe dovuto garantirli il sistema della ‘rappresentanza militare’, che però aveva grandissimi limiti operativi”. In primis la mancanza di autonomia. “Il sistema – aggiunge Rullo – era poi caratterizzato da dipendenze gerarchiche (alle riunioni presiedeva il più alto in grado) e non aveva neppure autonomia economica, tanto che è arrivato a costare 4 milioni di euro all’anno di soldi pubblici, sottratti al bilancio della Difesa”. Nel 2014 il senatore pentastellato, Bruno Marton, presentò un’interrogazione parlamentare per conoscere le spese inerenti il funzionamento degli organismi di ‘Rappresentanza Militare’ e dei Cocer, i rappresentanti dei militari a livello nazionale. A fornire i dati fu l’allora sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, che è stato presidente del CoCeR Interforze del X mandato: quasi 4,4 milioni di euro, spesi principalmente per le indennità di missione dei delegati nazionali, 63 militari che rappresentano 5 Cocer (uno per ogni forza armata). “Tutto questo senza che lo strumento – spiega Rullo – garantisse tutele importanti”. C’è, però, chi non è così ottimista riguardo al cambiamento in atto. È il caso di Antonio Tarallo, delegato Cocer dei carabinieri. “Credo che cambiare la Rappresentanza Militare con un soggetto sindacale ancora non ben definito non sia il giusto punto di partenza per una riforma che ritengo epocale e giusta” ha scritto sul suo profilo Facebook. Secondo Tarallo la sentenza della corte Costituzionale “produrrà almeno inizialmente solo effetti negativi”.

DALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE ALLA LEGGE – Già. Perché la prima svolta, è bene ricordarlo, c’è stata ad aprile scorso, quando la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’articolo 1475 comma 2 del Codice dell’ordinamento militare nella parte in cui vietava a soldati, avieri, marinai, carabinieri e finanzieri di costituire associazioni professionali a carattere sindacale. Dichiarata l’illegittimità della norma, bisogna riscriverne un’altra. Come spiegato dallo stesso ministro: “Le associazioni riconosciute potranno relazionarsi con i rispettivi Stati maggiori o Comandi generali, fatta salva la prerogativa negoziale”. Questa, infatti, “sarà regolamentata con legge. A questo proposito – ha sottolineato – già siamo al lavoro sul provvedimento normativo che presto, molto presto, inizierà ad essere discusso in Parlamento”. Dovrebbe essere presto calendarizzata alla Camera, infatti, la proposta di legge depositata a luglio 2018 dal Movimento 5 stelle (prima firmataria il capogruppo dei grillini in commissione Difesa, la deputata Emanuela Corda).

IL TESTO DEI CINQUE STELLE – La proposta prevede che i sindacati dei militari tutelino gli interessi degli iscritti senza interferire con la direzione dei servizi o con lo svolgimento dei compiti operativi. Resta esclusa dalla loro competenza la trattazione delle materie attinenti a ordinamento, addestramento, operazioni, al settore logistico-operativo, al rapporto gerarchico e funzionale e all’impiego del personale. Ordinamento e impiego del personale sono invece aspetti che interessano molto i sindacati e su cui è prevedibile che la discussione si accenderà. Stando al testo, le associazioni dovrebbero avere voce in capitolo su tutela individuale e collettiva dei militari, trattamento economico fondamentale, accessorio, di missione e di trasferimento, orario di lavoro, licenze, aspettative e permessi. Sono di loro competenza anche la disciplina generale in materia di mobilità del personale e attribuzione degli incarichi, la vigilanza sull’applicazione delle norme relative alla sicurezza sul lavoro e alla tutela della salute, i processi di ristrutturazione e di riorganizzazione di enti e reparti e di dismissione di infrastrutture che incidono sull’utilizzazione e sulla mobilità del personale, i trattamenti relativi alla previdenza pubblica e a quella integrativa. I sindacati potranno presentare ai ministeri competenti osservazioni e proposte sull’applicazione delle leggi e dei regolamenti e segnalare le iniziative di modifica da essi eventualmente ritenute opportune. Potranno chiedere, cosa che non era concessa ai Cocer, di essere ricevuti dai ministri competenti, dagli organi di vertice delle forze armate e dei corpi di polizia a ordinamento militare e dai rappresentanti delle regioni e delle amministrazioni locali. Potranno fornire consulenza agli organismi delle rappresentanze unitarie di base, sia in fase di predisposizione delle piattaforme contrattuali, sia in fase di contrattazione e di negoziazione ai vari livelli.

COSA CAMBIA CON I SINDACATI – “Questa è una svolta storica – sottolinea Rullo – un traguardo per 350mila militari e per le loro famiglie. Con i sindacati – spiega il maresciallo dell’Aeronautica – i militari conquistano la dignità di essere rappresentati, arrivando ad avere le stesse competenze di quelli di polizia che hanno questo diritto dal 1981”. Competenze che saranno dunque stabilite per legge: un punto su cui gli addetti ai lavori nutrono delle perplessità. “Tutto è migliorabile e confermo che è necessario discutere e chiarire meglio alcuni aspetti a riguardo” aggiunge Rullo. Ma in merito a concertazione di primo e secondo livello, retribuzione e indennità “dobbiamo ricordare che finora era tutto a discrezione del comandante e che finalmente avremo voce in capitolo sul rinnovo dei contratti”. Non solo. Finora le uniche firme vincolanti sul contratto “erano quelle dello Stato maggiore e della rappresentanza politica, mentre ora tra quest’ultima e i sindacati non ci sarà l’intermediazione dello Stato Maggiore”. E poi c’è il tema della sicurezza e della salute: “Abbiamo più di 360 morti per uranio e decide di migliaia di malati per uranio e amianto. In passato ci siamo dovuti tutelare da soli. Non accadrà più”.

LE PERPLESSITÀ – Un’altra questione è quella del doppio incarico. Come ricorda Antonio Tarallo, il ministro ha chiesto al Consiglio di Stato un parere sull’opportunità o l’inopportunità per il delegato della rappresentanza militare (ossia i Cocer) di svolgere la doppia mansione di delegato e sindacato. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che, in questa fase transitoria, non sia opportuno lo svolgimento dell’attività sindacale da parte dei delegati del Cocer in carica che hanno chiesto l’assenso ministeriale per poter costituire le loro associazioni sindacali. Eppure, fa notare Tarallo, il primo sindacato ad essere autorizzato “è stato chiesto da un delegato della Rappresentanza militare”. Altri aspetti vengono sottolineati da Luca Marco Comellini, giornalista e segretario del Partito per la Tutela dei Diritti dei Militari e Forze di Polizia, secondo cui la proposta di legge e i diktat del ministro “hanno un solo punto in comune: una pervicace volontà di escludere dalla vita sindacale il personale militare in congedo”. In effetti i sindacati possono essere costituiti solo da militari in servizio o in ausiliaria, ma non in pensione. “Ciò appare inaccettabile – scrive Comellini – nel momento in cui, fin dal 2013, il personale in congedo dei ruoli della polizia di Stato può legittimamente svolgere e assumere cariche direttive all’interno dei sindacati del personale del Corpo”. Il rischio, insomma, è che si crei una disparità di trattamento. Il sospetto è che si vogliano limitare i numeri e le risorse (dunque il potere) a disposizione dei sindacati.

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