di Margherita Cavallaro

È iniziato un nuovo anno e con esso sono partiti i soliti propositi. Mi metto a dieta. Vado in palestra. Smetto di bere. Mi prendo cura di me.

La smetto con l’autocommiserazione. Per celebrare questa tradizionale ondata di false speranze collettive e promesse nate infrante, volevo scrivere qualcosa di scoppiettante senza però riprendere temi già trattati. Ahimé, però, notizie che titillassero la mia creatività sembravano latitare e mi stavo domandando se, forse, Babbo Natale mi avesse dato ascolto e avesse portato nel suo sacco un po’ di buon senso al Belpaese (intendo l’Italia, non il formaggio). Ero dunque in attesa di un qualche segno, quando si stagliò risplendendo fulgido contro la foschia della mia vita un articolo che mi ha fatto lo stesso effetto che devono aver avuto i fuochi d’artificio di Londra con il London Eye trasformato in bandiera europea sul governo inglese.

Alessia P.M., attivista trans sudamericana apparsa anche sul palco del Pride di Milano, è stata gentilmente presa sottobraccio e accompagnata all’italico portone. Alla faccia di quelli che si lamentano perché “tanto anche se prendono i clandestini non gli succede niente e il giorno dopo sono già fuori”, Alessia è stata ficcata su un volo in un battito di ciglia. Peccato che lei avesse un ricorso ancora in atto e che le sia stato attivamente impedito di chiamare il suo avvocato che aveva tutte le carte. Non voglio ora entrare nel merito di quanto retrogusto totalitario lasci l’impedire a qualcuno di chiamare un avvocato. Voglio invece provare a rigirare la frittata.

Cosa direste se io, cittadina italiana, venissi espulsa il 20 marzo all’improvviso, nonostante una pratica ancora aperta sul diritto alla mia permanenza? Cosa direste se la polizia inglese mi ammanettasse, sequestrasse il cellulare impedendomi di contattare un avvocato e ficcasse su un aereo senza darmi tempo di prendere affetti o avvisare qualcuno in Italia? Cosa direste se io fossi anche stata un’attivista per i diritti degli stessi cittadini inglesi? Quali parole usereste per descrivere la crudele Albione? Come appellereste “Teresa Maggio”, responsabile della situazione in quanto referente istituzionale? Ecco che sento giungere alle mie orecchie come un fruscìo. Che sia il tipico sibilare dell’ipocrisia che si appresta ad accerchiarmi come i velociraptor di Jurassic Park?

Difendere quanto fatto ad Alessia sarebbe anche dire che il governo inglese farebbe bene a sbattermi fuori da un giorno all’altro come una criminale senza diritto di chiamare il mio avvocato. Sarebbe dire che farebbero bene a separarmi dai miei affetti, nonostante abbia speso il mio tempo a lottare per i diritti anche degli inglesi (anche se evidentemente certa gente pensa che anche tra gli italiani/inglesi ci siano cittadini di serie B, oppure vive sommersa nell’ingratitudine). Sarebbe dire che hanno ragione gli inglesi che vivono di benefit a lamentarsi di noi italiani, quando siamo anche noi italiani che paghiamo i loro sussidi con le nostre tasse. Se vengono prima gli italiani, allora vengono anche prima gli inglesi degli italiani che scappano dalla disoccupazione o alla ricerca di diritti che non hanno in patria.

Egualmente, se Teresa Maggio (feroce europeista, prima che si approfittasse del caos Brexit per mettere le chiappette sulla poltrona) è una testa di piccione, allora lo è anche Matteo Salvini con la sua retorica da camionista in tour (non perché abbia qualcosa contro i camionisti, ma perché pare non faccia altro che fermarsi a mangiare in giro durante i suoi viaggi. Se almeno scaricasse qualche pomodoro dalla Puglia farebbe qualcosa di socialmente ed economicamente utile). Vi sfido anche a dirmi che però sta solo facendo rispettare la legge, perché quello stesso individuo due anni fa ha attivamente incitato i sindaci a contravvenire alla legge e rifiutarsi di celebrare le unioni civili.

Sapete quale buon proposito vorrei facessero certi italiani? Di cercare di immedesimarsi ogni tanto e rivedere la storia. Di almeno provare a capire che o vengono prima tutti o non viene prima nessuno. I Romani (visto che certa gente sembra avere nostalgia di altre epoche) ebbero così tanto successo perché tutti quelli che facevano parte dell’Impero erano Romani. Secondo voi perché si dice essere romano de Roma? Perché non tutti i romani storicamente lo erano. I Romani sapevano che se avessero formalmente detto “prima noi”, sarebbero stati primi solo a Roma e quindi, progressivamente, estesero quel “noi” a tutti.

Ecco, visto che tanta gente se la prende col progresso e la compassione, io vorrei che ci riappropriassimo allora quantomeno dell’antica intelligenza che ci rese grandi (magari, però, evitando stavolta il successivo imperialismo con conseguente fratturazione).

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