Il Servizio sanitario nazionale non è obbligato a inserire nell’elenco dei medicinali che rimborsa tutti quelli che servono a curare la stessa malattia, pur avendo principi attivi diversi. Ma solo le molecole che dimostrano di avere un rapporto rischio-benefici e costo-benefici più vantaggioso. È questo l’assunto alla base del documento di programmazione della nuova governance farmaceutica presentato il 10 dicembre dal ministero della Salute. Oggi il Prontuario dei farmaci, il cui ultimo aggiornamento risale a tredici anni or sono, quando all’Aifa come direttore generale c’era Nello Martini, contiene troppi medicinali fotocopia e la sua revisione, a detta del ministro Giulia Grillo, consentirebbe un risparmio di due miliardi di euro.

“L’obiettivo è innanzitutto razionalizzare l’uso dei farmaci, da cui conseguirà necessariamente una riduzione della spesa – evidenzia Silvio Garattini, l’illustre farmacologo fondatore dell’Istituto Mario Negri, che ha partecipato al tavolo tecnico sui farmaci – Se si amplia l’offerta di farmaci uguali, anche se con un nome diverso, aumentano anche le prescrizioni, perché ogni ditta cercherà di spingere sul mercato il proprio prodotto. L’Agenzia europea del farmaco – spiega Garattini – valuta la molecola secondo tre criteri: qualità, efficacia e sicurezza; noi invece dobbiamo considerare anche il valore terapeutico aggiunto. I farmaci non sono beni di consumo, ma strumenti di salute”. Il mercato infatti è saturo di doppioni. “Non possiamo avere in Italia 21 farmaci antidepressivi e non sapere se ce n’è uno che funziona meglio degli altri – continua il farmacologo – Stesso discorso per gli antidolorifici o i gastroprotettori. E non è accettabile che il Ssn spenda 280 milioni l’anno per la vitamina D che non cambia il numero di cadute né quello delle fratture negli anziani”.

La strategia da mettere in atto non è ancora nota però. “Bisognerà fare ordine, eliminare ciò che si riesce, ridurre i prezzi e definire meglio gli usi. Sicuramente il piano dovrà essere in qualche modo concordato con l’industria – sottolinea Anna Maria Marata, membro della commissione tecnico-scientifica (cts) di Aifa (che valuta l’efficacia e la sicurezza dei farmaci), nonché coordinatrice della commissione regionale del farmaco dell’Emilia Romagna -. La decisione di mettere un farmaco in fascia C (a carico del cittadino cioè, ndr) con un contratto in corso non credo potrà essere unilaterale”.

Per passare dalla teoria alla pratica anche le Regioni devono fare la loro parte, incentivando la concorrenza nelle gare d’acquisto dei farmaci ospedalieri. “Il prontuario nazionale rappresenta un aiuto e una guida per tutte le regioni, il problema è governarlo a livello locale. Come dire, non è la lista delle cose da fare che manca, ma la cabina di regia per applicarle”. Va quindi innescato il meccanismo virtuoso degli acquisti per equivalenza terapeutica, come suggerito nel documento sulla nuova governance farmaceutica. “La regione – spiega Marata – dovrebbe prima fare una lista dei farmaci con la stessa indicazione terapeutica, sottoporla alla valutazione della commissione tecnico-scientifica di Aifa, e poi bandire la gara per ottenere un risparmio maggiore”. Un metodo introdotto nel 2012 con la legge Balduzzi ma ancora poco sfruttato.

“Nel 2014 l’Aifa fece la prima delibera per stabilire l’equivalenza terapeutica ai fini degli acquisti – fa il punto l’esperta della commissione –  ma i criteri non erano sufficientemente inattaccabili e nella maggior parte dei casi le aziende produttrici hanno fatto ricorso, vincendo. Nel 2016 è arrivata la seconda delibera ma dopo pochi mesi fu ritirata a causa dello scontento di medici, farmacisti, associazioni di pazienti e industrie ovviamente”. Nel 2018 l’Agenzia italiana del farmaco ci ha riprovato con un’altra determina, la 818 del 23 maggio. “Le regioni devono scrivere un dossier in cui motivano l’equivalenza terapeutica delle molecole, e inviarlo a noi per l’approvazione, ma al momento non abbiamo ricevuto nessun documento di questo tipo” ci fa sapere Marata, che nel frattempo per l’Emilia Romagna aveva trovato una soluzione alternativa. “Nominiamo un gruppo di lavoro che stabilisce quando i farmaci sono sovrapponibili e produce delle raccomandazioni in modo che, senza ricorrere alla gara, gli ospedali siano messi nelle condizioni di scegliere il farmaco più economico. Una strategia – conclude Marata – che finora ha funzionato bene”.

Un altro successo lo ha portato a casa il Piemonte, che quest’anno grazie al meccanismo delle gare ha risparmiato oltre 41 milioni di euro solo sui maggiori farmaci utilizzati, con una riduzione media di prezzo del 67 per cento. In alcuni casi la spesa si è ridotta fino al 99 per cento: per il bosentan (un antipertensivo) e l’imatinib (un antitumorale), i cui costi unitari sono scesi rispettivamente da 2.210 a 27 euro e da 1.907 a 24 euro. Il trastuzumab (un altro antitumorale) invece è passato da 565 a 163 euro (-71 per cento); l’adalimumab (un antinfiammatorio), da 866 a 293 euro (-66 per cento).

Loredano Giorni, responsabile dell’assistenza farmaceutica regionale, specifica: “Alla scadenza esatta del brevetto e all’immissione del biosimilare o equivalente bandiamo le gare per sfruttare immediatamente l’effetto della concorrenza. Nelle ultime abbiamo coinvolto altre cinque regioni per aumentare il potere di contrattazione”. E poi: “Ci vuole più rispetto dei soldi di tutti; se i medici mi presentano una relazione scientifica per dimostrarmi l’efficacia maggiore del farmaco originator allora lo paghiamo, ma finora nessuno ci ha inviato niente”, dice Giorni riferendosi al ricorso dell’associazione dei malati reumatici Anmar contro la gara di acquisto di adalimumab, il biosimilare per la cura di alcune patologie reumatiche.

L’assessore alla Sanità Antonio Saitta, anche in qualità di coordinatore della commissione salute della Conferenza delle Regioni, ha rinnovato a tutte le regioni la proposta di “unirsi per indire bandi sull’acquisto di farmaci” per “mettere in moto processi di aggregazione in grado di incidere sul mercato”. In effetti il terreno, in prospettiva, è fertilissimo. “Fra il 2019 e il 2020 – si legge in un comunicato della Conferenza delle Regioni – vanno a scadenza oltre 30 brevetti di farmaci sia chimici che biologici, per un valore di 900 milioni di euro a livello nazionale”. Viene allora il sospetto che le aziende con la scusa del diritto di esclusiva dato dal brevetto gonfino un po’ troppo i prezzi.

Nelle linee guida per riformare la governance farmaceutica, nell’ottica della sostenibilità economica, si chiede all’Aifa anche di promuovere campagne informative di sensibilizzazione per medici e pazienti, sull’uso dei farmaci generici e biosimilari, sovrapponibili in termini di efficacia e sicurezza a quelli originatori. “Non si capisce perché nelle regioni del Sud, dove c’è il sole e il mare, si prescrivano più farmaci e la percentuale di spesa per quelli coperti da brevetto è più alta che in quelle del Nord – commenta Garattini -. In Lombardia per esempio l’uso di farmaci equivalenti si attesta al 37,2 per cento, mentre in Calabria al 15,8”.

Un altro punto su cui insiste il piano di riorganizzazione del settore è la dispensazione dei farmaci con un numero di dosi personalizzate, “come accade già in Inghilterra e negli Stati Uniti” ricorda il farmacologo.  “Pensiamo alle confezioni di antibiotico – fa un esempio – quasi sempre avanzano finita la terapia e il rischio è che, rimanendo in giro per casa, vengano assunti in modo inappropriato, o scadano”. Un’altra richiesta è quella di promuovere la ricerca indipendente dal finanziamento di Big pharma e un’informazione scientifica altrettanto libera da interessi. “Oggi l’informazione è asimmetrica – conclude Garattini –  poiché a farla sono le industrie; deve occuparsene invece Aifa, come faceva una volta, con la distribuzione ai medici di un manuale farmacologico e di un periodico con tutte le indicazioni”.

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