Undici anni sono passati dal rogo della ThyssenKrupp a Torino, in cui morirono sette operai, e due manager tedeschi condannati sono ancora liberi. Per questo domani a Bruxelles il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, incontrerà la sua collega tedesca, Katarina Barley a margine di un incontro dei ministri della giustizia: “Le dirò che chi sbaglia paga: giustizia deve essere fatta”, ha annunciato questa mattina al cimitero monumentale per la cerimonia in ricordo di Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone e Roberto Scola. A metà novembre la senatrice dem Anna Rossomando aveva sollecitato Bonafede chiedendo che incontrasse l’omologo di Berlino. “Se due stati stanno in un’Europa unita – ha aggiunto il ministro italiano oggi – devono rispettare i diritti dei cittadini di questi paesi e il sistema di giustizia”.

I familiari delle vittime attendono da tempo che la sentenza definitiva sia eseguita: “In undici anni non siamo ancora riusciti ad ottenere giustizia, con i due assassini tedeschi ancora liberi – ha dichiarato Rosina Demasi, madre di Giuseppe – Devono pagare, perché sono stati condannati. A noi, ai nostri ragazzi e a tutta Italia si deve una giustizia negata per undici anni”.

Dal luglio scorso il ministero della Giustizia ha consegnato ai magistrati tedeschi tutte le sentenze fatte tradurre dalla procura generale di Torino, guidata da Francesco Saluzzo, in seguito all’inusuale richiesta arrivata da Essen, sede giudiziaria che deve far eseguire il verdetto italiano. Una richiesta che va oltre quanto stabilito da un accordo quadro tra Italia e Germania in tema di giustizia. Il 13 maggio 2016 i due manager della ThyssenKrupp Acciai Speciali, l’ex ad Harald Espenhahn e il consigliere d’amministrazione Gerald Priegnitz, erano stati condannati per omicidio colposo plurimo rispettivamente a 9 anni 8 mesi di carcere e 6 anni e 10 mesi insieme agli altri dirigenti italiani i quali, il giorno dopo la sentenza, si erano consegnati alle autorità.

Il sostituto procuratore generale Vittorio Corsi e il procuratore generale Saluzzo davano il via alle pratiche per la carcerazione dei tedeschi. La procedura prevedeva quindi l’invio della traduzione della sentenza della Corte di Cassazione e quella della Corte d’appello di Torino confermata, cosa che è avvenuta quasi due anni fa, il 27 gennaio 2017. Tuttavia alla Corte distrettuale di di Essen quei documenti non bastavano: voleva tutte le sentenze tradotte, un lavoro molto complesso e lungo. Il lavoro è stato soltanto concluso a luglio e le traduzioni sono state inviate in Germania il 6 agosto scorso. A settembre la procura di Essen è tornata a chiedere la carcerazione di Espenhahn e Priegnitz per la durata di cinque anni (la pena massima prevista in Germania per i reati accertati), ma sono passati tre mesi e ancora non è arrivata una decisione.

Le uniche tracce dei due dirigenti tedeschi di Thyssen sono quelle registrate delle Iene con l’inviato Alessandro Politi che ha cercato prima Priegnitz poi Espenhahn a distanza di 8 mesi l’uno dall’altro. Nessuno dei due, però, ha voluto parlare. Solo il figlio dell’ex ad ha scambiato alcune parole con l’inviato, in un italiano perfetto vista la sua infanzia a Terni: “Non abbiamo ammazzato nessuno, è una questione di politica questa. Non potevamo più stare in Italia, per noi c’era veramente troppo pericolo”.

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