In Cina prenotare un albergo, fare il check-in, soggiornarvi, scegliere la colazione o qualsiasi altro servizio, check-out compreso, passa tutto dallo smartphone: nessuna persona all’accettazione, nessun interlocutore in carne e ossa, perché quella specifica catena alberghiera ha scelto di ottimizzare i costi del personale affidandosi alla sola tecnologia. Tutto smart. Tutto attraverso la rete. Meno persone, più tecnologia.

Secondo alcune proiezioni entro il 2030 circa 800 milioni di posti di lavoro potrebbero essere sostituiti da strumenti di automazione: l’intelligenza artificiale e la robotica renderanno obsolete diverse professioni. Sicuramente ne nasceranno altre e le attuali dovranno, forse, trasformare la loro natura. Ma dipende anche (ancora) da noi. Dalle nostre scelte quotidiane se qualcosa ha successo oppure no, sulla base della semplice regola della domanda e dell’offerta.

Nei giorni scorsi mi sono rivolta al gestore della mia linea telefonica perché sta per scadere un contratto stipulato 30 mesi fa. Entro nel negozio portando con me la cosiddetta “saponetta” che mi permette di navigare anche con altri strumenti. Il tizio mi guarda e dice: “Questa non vale più perché vecchia e lenta. La cambiamo con una nuova”. Chiedo perché quella scatoletta non possa eventualmente essere aggiornata invece che buttata (chissà poi dove, visto che è ancora ben lontana la frontiera del completo recepimento pratico del decreto legge del 2005 sulla direttiva europea). Mi rendo conto di parlare un’altra lingua, oggi tutto ci invoglia a cambiare sempre più spesso i nostri apparecchi elettronici – obsolescenza programmata oppure no – attratti dal modello più performante. Il commesso addirittura mi chiede se voglio sostituire il mio telefono. Gli rispondo di no perché funziona benissimo “nonostante” i suoi 30 mesi di vita.

Dipende anche (ancora) da noi, perché se è vero che la rete è ormai usata per pensare, comunicare e memorizzare dati, noi siamo corporeità e soprattutto in grado di fare delle scelte – anche apparentemente minori – che possono fare la differenza: Greenpeace – che proprio nei giorni del delirio Black Friday ha portato in piazza a Milano un enorme pacco regalo composto da materiali in plastica usa e getta – lo spiega.

Secondo l’osservatorio del Politecnico di Milano, in Italia gli webshopper oggi sono 22 milioni. È certamente comodo farsi arrivare il nostro shopping compulsivo direttamente a casa, in ufficio o dall’amica e a tutte le ore. Nessun problema se non ci piace perché lo restituiamo. Non abbiamo perso tempo a uscire, fare due passi magari perdere tempo prendendo un caffè e soprattutto rivolgerci ai commessi, destinati forse alla quasi estinzione un po’ come accadrà per altri servizi. Il tema su cui riflettere è come tutto questo “nuovo” di tecnologie e abitudini tecno influenzerà (già influenza) non solo la filiera produttiva e i contenuti, ma le relazioni delle e fra le persone.

Mi chiedo se sia sempre così necessario allinearsi a ciò che ci martella nel web, che sentiamo ripetere dal collega che smanetta o quanto piuttosto sia utile riuscire a modulare le decisioni in base alle nostre reali esigenze personali. Nulla è necessariamente come “quello di tutti”. Personalmente non credo nell’accettazione passiva del concetto di omologazione dei bisogni. Non credo in quella che il filosofo Diego Fusaro in un suo post ha descritto così: “La nostra è, effettivamente, la prima società del consenso di massa e dell’omologazione di massa: ognuno pensa come si pensa, vive come si vive, desidera come si desidera e, non in ultimo, dissente come si dissente”. Dipende anche (ancora) da noi. Dalla nostra capacità di mediare tra tutto. Tra il poter essere sempre connessi e immaginare – o illuderci – che tutto sia facilmente accessibile e lo sforzo di trovare delle soluzioni adatte per noi. Non per tutti gli altri. Semplicemente per noi.

Qualche mese fa la Stampa titolava: “Effetto Amazon, 10mila posti a rischio. Consumi giù e boom dell’online, in crisi i big dell’elettronica di consumo. Chiusi gli store Trony in 6 regioni, male anche Euronics e Mediaworld”. Gli squali della grande distribuzione elettronica, dopo aver mangiato i pesci piccoli (in negozio dove un omino ti spiegava perché aggiustare o meno il nostro elettrodomestico) sono entrati crisi a causa del forte incremento dell’e-commerceAntonello Soro nel suo Liberi e connessi focalizza il tutto così: “Le nuove tecnologie, pur offrendoci straordinarie potenzialità, rischiano di imporci nuove schiavitù se non riusciamo a proteggere, con i nostri dati, noi stessi e la nostra libertà”. Ecco perché, dal mio punto di vista, essere partecipi della piazza globale dipende anche (ancora) da noi.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

Articolo Precedente

Microsoft Surface Go, notebook e tablet di qualità a un prezzo ragionevole

next
Articolo Successivo

Clienti iPhone truffati con il Touch ID, hanno versato da 90 a 120 dollari senza saperlo

next