Un taglio ai cappellani militari che porterà a un risparmio di 3 milioni di euro ogni anno e un “impegno forte” per prevenire i suicidi nella Forze Armate perché “un’organizzazione in cui l’uso delle armi fa parte della normale operatività deve essere più responsabile” nel cogliere i “segnali d’allarme”. Elisabetta Trenta mette sul piatto due nuovi progetti del ministero della Difesa, dopo aver annunciato un tavolo tecnico per studiare tutti i casi dei militari vittime dell’uranio impoverito.

La questione dei cappellani è una “necessaria rivisitazione” del sistema anche perché sulla base di “un’intesa siglata tra lo Stato e il Vaticano  – spiega il ministro della Difesa in un’intervista all’Adnkronos – andiamo verso una rivisitazione dell’ordinamento, che tra le altre cose prevede un taglio dell’organico e una riduzione del trattamento economico accessorio per un risparmio che, secondo le nostre stime, dovrebbe raggiungere quasi i 3 milioni di euro all’anno”. Il progetto prevede di tagliare di circa il 25% l’organico dei circa 200 cappellani attualmente in servizio nelle caserme italiane. “Gli uffici competenti, dietro iniziativa della Presidenza del Consiglio dei ministri a cui compete la materia, stanno valutando – aggiunge il ministro – le vie normative percorribili per concretizzare quanto prima l’intesa”.

La novità preannunciata dalla Trenta ha provocato la reazione del vicario generale dell’Ordinariato militare per l’Italia, monsignor Angelo Frigerio, che ha puntualizzato come “oggi i cappellani militari sia 140″ a fronte di un organico previsto di 204, quindi con un sotto-organico di 64 unità. “Dal 2012 ad oggi, il risparmio è all’incirca pari a 30 cappellani all’anno – ha spiegato – Nel 2018, contrariamente a quanto si è conteggiato, i cappellani militari sono costati 5 milioni di euro allo Stato, non nove milioni”.

La Difesa si prepara anche a un delicato lavoro nelle caserme per la prevenzione dei suicidi. “Ho chiesto un impegno forte – dice Trenta – So bene che molti suicidi (perché chiamarli atti di autolesionismo?) sono legati a esperienze di disagio personale e familiare, ma non è una scusante dire che ‘i suicidi nelle forze armate sono nella media’”. Anche perché “un’organizzazione in cui l’uso delle armi fa parte della normale operatività deve essere più responsabile e più capace di cogliere quei segnali di allarme, qualora ci siano, che potrebbero aiutarci a prevenire un fenomeno che, nel 2018, risulta anche in aumento”.

Approfondimenti, spiega Trenta, sono stati chiesti a un’apposita commissione. Ma la titolare della Difesa va oltre e spiega che i militari che hanno bisogno di aiuto “devono essere rassicurati sul fatto che chiedere assistenza psicologica non creerà loro in automatico problemi di carriera e che un percorso di recupero ben fatto può renderli anche più resilienti e più forti a vantaggio dell’esigenza operativa”e chiede che venga istituito – nell’ottica di un cambio culturale e normativo – un “servizio costante di monitoraggio dei casi possibili, cioè di tutti i militari che possono essere stati coinvolti in incidenti, attentati, terremoti ed eventi di pubblica calamità”.

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