Sono 380 le applicazioni per telefoni e tablet che riguardano la sanità italiana. Considerando che è in atto un drastico accorpamento delle aziende sanitarie locali (solo in Lombardia da 29 a 3, tra l’altro con un tasso di maggior funzionalità per il momento quasi nullo) la media rischia di essere elevatissima. Tanta modernità dovrebbe rispecchiare altrettanta efficienza, ma non è proprio così.

Spesso la sanità pare essere terreno più di operazioni di promozione politica che di reale ammodernamento. Un esempio, rimanendo in tema di app, viene dal Veneto, regione di sicura eccellenza nel campo sanitario.

Esistono due applicazioni, sviluppate per conto della Regione: una segnala – in caso di bisogno – la situazione di attesa nei pronto soccorso, indicando quindi quelli più idonei per vicinanza e affollamento nel momento della richiesta, guidando anche l’utente attraverso la geolocalizazione. L’altra dovrebbe snellire di molto i rapporti tra medici, assistiti e farmacia, con una vera e propria ricetta elettronica che – nelle intenzioni di chi l’ha realizzata – finirebbe quasi per svuotare le sale d’attesa di medici di base.

Ci sarebbe di che andare orgogliosi, se non fosse che la prima, dopo un lancio in pompa magna ormai due anni fa, non è più stata pubblicizzata, col risultato che a parte un picco di utenza iniziale, ormai quasi nessuno la utilizza, perché quasi nessuno ne ricorda o conosce l’esistenza. Eppure pare sia stata preparata anche una campagna di comunicazione via social, ma la regione sembra se ne sia dimenticata.

La seconda – che dovrebbe portare a una vera rivoluzione dell’attvità dei medici di base –  dopo un periodo di collaudo è state resa di diffusione obbligatoria dall’inizio di ottobre, ma il compito pare essere affidato ai medici stessi che dovrebbero informare gli assistiti uno ad uno e invitarli a utilizzare il servizio. Risultano un po’ più di centomila download, su quasi cinque milioni di assistiti, ma è difficile stabilire quanti ne facciano davvero uso, anche perché pochi ne sono a conoscenza e la campagna che dovrebbe promuoverla è ancora ferma.

Ecco, stiamo parlando della regione probabilmente più attrezzata e dove  – forse – le soluzioni informatiche potrebbero anche avere un futuro.

Non è dato di sapere quanto costi tutto il progetto delle app, dallo studio alle realizzazione, alle campagne di promozione,  ma moltiplicando per 380 e considerando il grado di utilità, non è difficile immaginare un spesa su scala nazionale milionaria. E inutile, o quasi. O perlomeno non proprio in linea con le priorità. Perché mentre si sviluppano le app, non è che la sanità italiana sia poi tutta questa eccellenza che spesso ci piace raccontare.

Nelle ultime settimane si sono sprecati i titoli di giornale sulla classifica che la vedrebbe come la quarta al mondo per efficienza, dopo Hong Kong, Singapore e Spagna. Un impeto di fierezza nazionale ha pervaso stampa e istituzioni. Peccato che la classifica in questione fosse redatta da Bloomberg, testata internazionale di finanza e che come tale riguardasse solo il rapporto tra spesa nazionale e aspettativa di vita.

Insomma siamo tra le prime nazioni al mondo nel vivere a lungo, malgrado lo spendere poco in sanità. Sapere se questo dipenda (solo) dalla qualità è tutto da vedere e comunque val la pensa che di chiedersi come si invecchi. E la risposta non è così confortante, visto che un terzo degli ultra 65ennisecondo il rapporto Osserva salute del 2017 – ha molta difficoltà o non è in grado di usare il telefono, prendere le medicine, gestire le risorse economiche preparare i pasti, fare la spesa e svolgere attività domestiche leggere.

Del resto basta cambiare parametri, spostando l’attenzione dall’efficienza finanziaria alla soddisfazione del cittadino unita alle statistiche ufficiali sulle prestazioni ed ecco che le cose cambiano.

Nella sola Europa, risultiamo al 20esimo posto, con la modesta consolazione di aver guadagnato due posti rispetto all’anno precedente. La ricerca mette in evidenza che l’Italia è il Paese con la maggior differenze interne rispetto al Pil investito in sanità, con una divisone in tre, dove il meridione viene definito “zona rossa”. Insomma è letteralmente diviso in due.

Anni fa si fece un gran parlare di federalismo sanitario, come della cura alla mala gestione: oggi quasi tutti gli operatori del settore dichiarano quella formula come evidentemente fallita. Lo stesso studio Euro Health Consumer Index  fa intendere come nemmeno sembri che la sanità sia governata da un unico ministero.

In fondo alla classifica ci sono due regioni che  ancora non riescono neppure a garantire il cosiddetto Lea, cioè il livello essenziale di assistenza: Calabria e Campania. Ma anche qui – dove un paziente su sei emigra al nord, dove solo la metà delle prestazioni sanitarie rispettano i tempi stabiliti dalla legge (30 giorni per le visite, 60 per gli esami) – le autorità son impegnate a sviluppare delle modernissime app per gli smartphone e i tablet.

Aggiornato il 16 novembre 2018 alle ore 16

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