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Michelle Obama racconta il primo incontro con Barack: “Sarà solo il mio stagista, non uscirò mai con lui”

"Sarebbe stato un buon pupillo per l’estate, pensai tra me", racconta Michelle Obama nella sua autobiografia in uscita in tutte le librerie. "Avevo appena giurato a me stessa che non sarei uscita più con nessuno: ero troppo logorata dal lavoro per dedicare anche uno sforzo minimo a una storia"

di F. Q.

Sarà solo il mio stagista“, nulla più. Ne era convinta Michelle Obama il giorno in cui conobbe per la prima volta Barack. “Invece quel ragazzo “piacevole, anticonvenzionale e a modo suo elegante” è diventato il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti. Oltre che suo marito e il padre delle sue figlie. Questo è solo uno degli episodi raccontati dall’ex first lady in “Becoming“, la sua autobiografia che esce oggi in tutte le librerie del mondo e già sta facendo discutere. Il Corriere della Sera pubblica un’anticipazione tratta dal capitolo in cui Michelle racconta il primo incontro con il nuovo tirocinante del suo studio legale: lo studente della Law school di Harvard di nome Barack Obama.

Il primo giorno di lavoro Barack Obama è arrivato in ritardo. Io ero seduta nel mio ufficio al quarantaseiesimo piano, e un po’ lo aspettavo e un po’ no. Come molti avvocati al primo anno in uno studio, avevo un sacco di lavoro da sbrigare”, racconta Michelle. “Guardai l’orologio. ‘Nessun segno di questo tizio?’ gridai a Lorraine. Sentii un sospiro. ‘No, bambina’, mi rispose. Era divertita, ci potevo scommettere. Sapeva che i ritardi mi facevano infuriare: li consideravo un inequivocabile segno di arroganza. Barack Obama aveva già creato scompiglio nello studio. Per prima cosa, aveva appena terminato il primo anno di Legge e noi, di norma, per gli stage estivi accettavamo solo studenti del secondo anno. Si era sparsa la voce che secondo uno dei suoi professori di Harvard — la figlia di un socio dello studio — fosse lo studente di Legge più dotato che avesse mai conosciuto. Alcune segretarie che lo avevano visto arrivare in studio per il colloquio dicevano che, oltre a essere brillante, era anche carino”.

“Più tardi, portai Barack a pranzo nell’elegante ristorante al primo piano del grattacielo in cui si trovava il nostro studio. Era piacevole, anticonvenzionale e a modo suo elegante. Nemmeno una volta, tuttavia, pensai a lui come a uno con cui mi sarebbe piaciuto uscire. Innanzitutto, ero il suo tutor nello studio. In secondo luogo, avevo appena giurato a me stessa che non sarei uscita più con nessuno: ero troppo logorata dal lavoro per dedicare anche uno sforzo minimo a una storia. E, infine, era accaduta una cosa orribile: al termine del pranzo Barack si accese una sigaretta, un gesto che sarebbe stato di per sé sufficiente a smorzare qualsiasi mio interesse, se ne avessi avuto uno. Sarebbe stato un buon pupillo per l’estate, pensai tra me“.

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