“A noi chi cazzo ce lo fa fare? Io butto bitume, tu butti cemento, a noi chi cazzo ce lo fa fare a metterci con questo e con quello, tanto sempre loro prendono il lavoro e sempre noi dobbiamo farlo”. Loro sono la ‘ndrangheta e a parlare, invece, sono due noti imprenditori calabresi ritenuti espressione delle cosche mafiose della Locride e della Piana di Gioia Tauro. Due uomini d’affari, uno dei quali coinvolto anche in importanti inchieste a Roma e Genova, ai quali la guardia di finanza ha sequestrato stamattina l’intero patrimonio ammontante a oltre 212 milioni di euro.

Si tratta di Domenico Gallico, di 62 anni originario di Bovalino, e Gianluca Scali di 44 anni di Roccella Jonica.

Coordinati dalla Dda di Reggio Calabria, gli uomini del colonnello Flavio Urbani e del tenente colonnello Agostino Brigani hanno eseguito due provvedimenti emessi dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, del procuratore aggiunto Gaetano Paci e del pm Gianluca Gelso. I sigilli sono stati applicati a imprese commerciali, beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie riconducibili a due noti imprenditori operanti nel settore della fabbricazione e distribuzione di conglomerati bituminosi e del calcestruzzo.

L’impero dei due imprenditori è stato “accumulato nel tempo anche grazie all’abbraccio affaristico-criminale con le cosche reggine”. Erano in rapporti con le principali famiglie mafiose come i Pelle di San Luca, i Barbaro di Platì, i Ficara di Reggio, i Morabito di Africo e i Piromalli di Gioia Tauro.

Sotto processo per associazione mafiosa a Palmi perché coinvolti nell’inchiesta “Cumbertazione”, secondo la guardia di finanza Gallo e Scali hanno operato “in sinergia e attraverso le imprese a loro riconducibili, erano risultati in grado di controllare le commesse per le forniture di calcestruzzo e di conglomerati bituminosi imponendo le proprie forniture anche per la realizzazione di lavori facenti capo al gruppo imprenditoriale dei Bagalà.

Gianluca Scali, inoltre, risulta nipote di uno dei boss del “Mandamento Jonico”. L’imprenditore, in sostanza, “controllava le commesse per le forniture di calcestruzzo” con riferimento ai lavori insistenti nella Locride. Il tutto operando “in sinergia” con l’altro indagato “attivo tra l’altro nel settore della bitumazione, imponendo ratione loci le proprie forniture per la realizzazione dei lavori” anche nella zona della Piana di Gioia Tauro.

Era lui, stando agli accertamenti della guardia di finanza, il “vero dominus” dell’impresa fittiziamente intestata alla madre Lina Ursino.

Già condannato definitivo per turbativa d’asta e per una truffa commessa dal 1985 al 1991, l’altro imprenditore Domenico Gallo è conosciuto anche fuori dalla Calabria. Basta pensare che, negli ultimi anni, oltre ai problemi giudiziari con la Dda di Reggio è stato coinvolto in un’inchiesta della Procura distrettuale di Roma che lo aveva definito “deus ex machina” in un’indagine dove era emersa “la sistematica attività di turbativa di asta nella Capitale”. Per questo motivo era stato arrestato nell’inchiesta “Amalgama” dalla Procura di Roma e il processo, per competenza, è pendente davanti al Tribunale di Bolzano.

Coinvolto anche nell’operazione “Chaos” (processo in corso a Vibo Valentia, ndr) e nell’inchiesta “Arka di Noé” (processo in corso a Genova, ndr), Domenico Gallo è riuscito a mettere le mani anche nelle grandi opere come il VI macrolotto della Salerno-Reggio Calabria, l’Alta Velocità Milano-Genova e il “Terzo Valivo dei Giovi”.

Stando alle inchieste giudiziarie che lo riguardano, Gallo era un imprenditore in grado di trattare con i vertici della pubblica amministrazione e allo stesso tempo con le cosche che grazie a lui mettevano le mani nei grossi appalti.

“È la nuova frontiera della ‘ndrangheta che ha raggiunto una tale operatività che va al di là del locale” ha spiegato durante la conferenza stampa il procuratore Giovanni Bombardieri secondo cui le aziende dei due imprenditori hanno “inquinato il libero mercato”. “Il nostro impegno – ha sottolineato il capo della Dda – è quello di consentire che le aziende sequestrate continuino a lavorare”.

“Questo costituisce il cuore vero di una ‘ndrangheta che ha una presenza nazionale e internazionale”. Per il procuratore aggiunto Gaetano Paci, “la guardia di finanza ha fatto una radiografia dello sviluppo imprenditoriale dei due soggetti indagati che grazie a una strategia imprenditoriale sono riusciti a trattare con qualsiasi interlocutore legale e illegale. Il Tribunale ha qualificato quelle di Gallo e Scali come imprese mafiose”.

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