Per uno Stato carico di debiti come quello italiano, è meglio continuare a indebitarsi sempre di più sui mercati finanziari, eventualmente applicare una nuova imposta patrimoniale o invece emettere moneta fiscale? E’ impossibile anticipare l’esito del braccio di ferro tra lo Stato debitore e la grande finanza che specula sul debito. E’ impossibile prevedere quale sarà nel prossimo futuro il valore di mercato dei titoli di Stato, dei Bot e dei BTP, e se lo spread – il differenziale di rendimento con i titoli di debito dello Stato tedesco – scenderà o invece salirà a livelli insostenibili. I mercati finanziari sono, infatti, per loro natura caotici e imprevedibili. Tuttavia c’è sempre una logica nella loro follia.

Il caos ha una natura deterministica; il mercato è imprevedibile ma nulla avviene per caso: tutto accade secondo ragione e necessità. In questo senso voglio azzardare una scommessa basandomi su argomentazioni razionali. I mercati sono spaventati perché credono che la nuova legge di bilancio del governo aumenterà il debito pubblico già troppo alto e non produrrà i tassi di crescita annunciati. Gli investitori chiedono tassi di interesse più alti sul debito italiano perché ritengono che il rischio Italia sia maggiore. Così lo spread cresce, e il debito rischia di aumentare a spirale.

La scommessa che faccio è che – nonostante i downgrade di Moody’s e di S&P e nonostante le bocciature della Ue – i mercati nei prossimi mesi non faranno fallire l’Italia. Posso sbagliarmi, ma se il governo regge, è difficile che nel prossimo futuro lo spread (già troppo alto) si allontani molto dai 300 punti. La previsione è basata su due elementi fondamentali: l’Italia è sicuramente solvibile; e a nessuno conviene fare fallire l’Italia. Infatti l’Italia ha un patrimonio tassabile che (almeno potenzialmente) permette certamente agli investitori e agli speculatori internazionali e nazionali di essere ripagati dei loro crediti. Con oltre 4000 miliardi di ricchezza finanziaria, basterebbe una patrimoniale – quella che tutti in Italia temono – per abbassare drasticamente il debito pubblico. Una tassa sui super-ricchi non è impensabile. In Italia l’1,5% dei cittadini italiani controlla circa 800 miliardi di ricchezza finanziaria. L’Italia è abbastanza ricca per rientrare dai debiti. Del resto una patrimoniale a sorpresa costituisce da sempre l’arma segreta di un governo in forte crisi che però voglia restituire i suoi debiti. E questo gli investitori finanziari lo sanno bene.

C’è poi un altro motivo per cui agli investitori in linea teorica non conviene far crescere lo spread fino a livelli insostenibili. Se lo Stato italiano fosse costretto a fallire – cioè a dichiarare formalmente che non restituisce i suoi debiti – molti operatori nazionali e internazionali registrerebbero forti perdite e si innescherebbe una reazione a catena che, almeno in teoria, non conviene a nessuno. Per gli investitori è meglio “tosare la pecora” che ammazzarla. La montagna del debito pubblico italiano sul mercato (circa 2000 miliardi) rappresenta già da qualche decennio una ghiotta e sicura opportunità di business per i creditori. Il fallimento dell’Italia comporterebbe invece quasi certamente la rottura dell’eurozona. La caduta dell’Euro provocherebbe choc economici e politici che nessuno saprebbe governare.

Da qui la mia (molto azzardata) previsione. Credo che l’Italia sarà costretta a fronteggiare ancora operazioni di logoramento piuttosto che di scontro frontale. Tuttavia, come ho già detto all’inizio, i mercati – fiancheggiati dalle istituzioni Ue – non sono prevedibili, sono caotici, e gli operatori si muovono in ordine sparso e in maniera cieca. Nell’economia di mercato non esiste l’ottimo di Pareto, cioè una soluzione stabile e razionale che conviene a tutti al massimo livello possibile. Cioè che è razionale dal punto di vista collettivo non lo è affatto dal punto di vista individuale. La mossa di un solo investitore può scatenare bruscamente un disastro economico. Un fatto è certo: in queste condizioni per l’Italia non esiste una strada facile e sicura per uscire dalla crisi del debito e rilanciare l’economia. Tuttavia esistono delle soluzioni meno rischiose è più praticabili di altre.

La soluzione migliore sarebbe certamente quella di sganciarsi per quanto possibile dalle speculazioni degli investitori, e che lo Stato italiano si riappropri, almeno in parte, della sua sovranità monetaria per finanziare la ripresa dell’economia di cui abbiamo bisogno come dell’aria. La soluzione potrebbe essere che lo stato, nel rispetto delle regole dell’eurozona, emetta autonomamente un titolo facilmente convertibile in euro, ovvero una quasi-moneta (così si chiamano in gergo i titoli molto liquidi, cioè subito convertibili in denaro sonante) nazionale. La soluzione è realmente realizzabile: lo Stato potrebbe infatti emettere dei Titoli di Sconto Fiscale per qualche decina di miliardi di euro senza metterli all’asta sul mercato primario dove le grandi banche d’affari comprano il nostro debito pubblico fissando di volta in volta lo spread. Lo Stato potrebbe, invece, assegnare gratuitamente e direttamente i TSF a famiglie, enti pubblici e imprese. I TSF servirebbero a pagare le tasse, i contributi, multe, tariffe pubbliche ecc, ma, per non generare un immediato buco fiscale, maturerebbero – cioè sarebbero utilizzabili – solo al quarto anno dall’emissione. Questi titoli negoziabili potrebbero però essere subito convertiti in euro, proprio come lo sono i Bot e i Btp.

La nuova liquidità assegnata a famiglie, imprese e enti pubblici ridarebbe ossigeno all’economia. In questa maniera lo Stato eviterebbe lo spread e rilancerebbe direttamente la domanda aggregata (investimenti, consumi, spesa pubblica) e, quindi, la produzione e l’occupazione. In Italia infatti non mancano le capacità produttive. Quello che manca è la moneta per rimetterle in moto. Se la nuova moneta messa in circolazione con l’assegnazione dei TSF fosse spesa bene, grazie al moltiplicatore fiscale e alla crescita dell’inflazione dovuta all’aumento della domanda, in tre anni il Pil crescerebbe in misura tale che al quarto anno – nel momento dell’utilizzo effettivo degli sconti fiscali – ci sarebbero entrate fiscali tali da più che compensare l’emissione iniziale. Lo Stato non ha, quindi, bisogno di indebitarsi con i mercati: può finanziarsi da solo. E può farlo senza uscire dalle (stupide) regole dell’euro: infatti, i TSF non sono moneta, e, come strumento fiscale, sono perfettamente compatibili con il trattato di Maastricht.

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