Il calcio italiano riparte da Gabriele Gravina: l’ormai ex n.1 uno della Lega Pro è il nuovo presidente della FederCalcio, eletto praticamente all’unanimità. Finisce la reggenza di Roberto Fabbricini e inizia una nuova era. Nessuna rivoluzione, però, anzi: l’obiettivo dei prossimi due anni (il mandato durerà fino alla fine del quadriennio olimpico, al 2020) sarà normalizzare la federazione, mettendo un po’ di ordine fra giustizia sportiva, regole e ruoli federali. Il pallone ha bisogno di riforme radicali, quelle che non sono state mai fatte nell’ultimo decennio, Gravina si accontenterà di rimettere insieme i cocci. Almeno per cominciare. Stavolta nessuno psicodramma nel segreto dell’urna: lo scorso 29 gennaio l’assemblea non era riuscita ad eleggere nessuno dei candidati, spaccata fra le varie correnti e consegnata nelle mani di Giovanni Malagò; oggi Gravina è passato al primo turno, addirittura col 97% dei voti.

Merito del commissariamento del Coni, un autentico disastro che in soli sei mesi è riuscito a ricompattare le varie componenti (a partire dall’asse Lega Pro-Dilettanti, che da soli valgono il 51% del totale e costituiranno l’ossatura del nuovo governo). Gravina ha preso i voti della sua Lega e di quella di Cosimo Sibilia (che sarà il vicevicario, e fra due anni dovrebbe prendere il suo posto in una staffetta annunciata), ma pure quelli degli allenatori di Renzo Ulivieri, degli arbitri di Marcello Nicchi (a cui il Coni avrebbe voluto togliere diritto di voto, ma è stato stoppato dal governo), e alla fine pure dei calciatori di Damiano Tommasi, di parte della Serie A e della Serie B. 472 voti su 485, appena 3 schede bianche: praticamente un plebiscito. La maggioranza voleva liberarsi al più presto della presenza ingombrante del Coni, gli altri si sono accodati. E Gabriele Gravina, storico patron del Castel di Sangro dei miracoli, poi dirigente di lungo corso, figlio politico dell’ex presidente Giancarlo Abete da cui ha ereditato l’arte della mediazione, alla fine è sembrato l’uomo giusto al posto giusto. O quantomeno il migliore disponibile al momento: “Per me è il coronamento di una vita al servizio del calcio: cercherò di essere deciso ma accorto e inclusivo. Oggi comincia il rilancio”.

In questo clima di (apparente) pacificazione generale, ci sarà un contentino per tutti. Gravina presidente, ma Sibilia (suo grande alleato) vicario. La ricca Lega Serie A che reclama più potere avrà l’altra vicepresidenza con Gaetano Miccichè. Ulivieri mantiene la guida del settore tecnico e le garanzie per i suoi allenatori, gli arbitri conservano le loro prerogative in consiglio. Alla fine pure i calciatori avranno un posto (probabilmente al Club Italia, che gestisce la nazionale). Il ct Roberto Mancini non si tocca, gli ex presidenti (Abete, Carraro, persino l’incontenibile Carlo Tavecchio) saranno ascoltati come “vecchi saggi”, il Coni verrà blandito con promesse di buoni rapporti. E persino Claudio Lotito (in teoria incandidabile) potrà restare in Federazione: il commissario Fabbricini si è “dimenticato” di escluderlo, e perché mai Gravina adesso dovrebbe fargli la guerra.

L’idea del nuovo n.1 è che queste larghissime intese (pure troppo) riescano a produrre qualche riforma, visto che la Federazione negli ultimi anni era stata paralizzata dai veti incrociati e dai litigi fra le componenti. Cambiamenti necessari, anche piccoli, ma sufficienti per scollinare la crisi: una minimale riforma dei campionati (riportare la Serie B a 20, introducendo il semiprofessionismo in Serie C), un po’ di pulizia negli organi della giustizia sportiva. Sperando che basti per far rimettere in piedi il calcio italiano.

Twitter: @lVendemiale

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