Partiti in cerca di un lavoro. Gli emigranti esistono anche in Italia. Vanno verso il nord del Paese, verso l’Europa, verso l’America. Lasciano la famiglia come a inizio Novecento, con una ideale “valigia di cartone”. Ecco alcune delle loro storie raccontate a valigiadicartone.ilfatto@gmail.com

Io partii nel 2007 all’ età venerabile di 53 anni, perché – obviously – non avevo un lavoro a tempo indeterminato. E in più, essendo un poco stagionata, ero ancor meno papabile. Giustamente mi si preferì una giovane mamma. Diciamo che ho sofferto una discriminazione.

Meno male! Ora qui dove mi trovo, a Newcastle in Australia, e sono già dieci anni, ho fatto una rapida carriera nell’università in cui lavoro. Ho fondi per la ricerca, sono rispettata, viaggio nel Sud e Nord del globo.

Ho lasciato una madre anziana. Mi mancano le montagne, mia sorella e due bellissimi nipoti. E gli amici. Mio marito ha lasciato tutto per seguirmi e la sua vita non è stata facile. Eppure, guardando indietro e pur sapendo che il tempo non esiste ed è un accidente del Big Bang, rimetterei ancora le mie cose in quattro contenitori di alluminio, nemmeno un metro cubo ciascuno. Sono stati i miei primi mobili: han fatto da tavolo, da sedie e da comodini. Lo rifarei perché qui ho iniziato una carriera a 53 anni, che mi ha fatto uscire da un pessimismo al limite della depressione.

Oramai poi pare di essere a casa. È pieno di italiani! Con tanta fantasia, intraprendenza, genialità di chi è abituato a far ricerca con quattro soldi. Sono molto orgogliosa degli italiani in Australia. Tanti, ma tanti hanno storie di successo, dalla pizzeria alle scoperte importanti in medicina. Forse è un bene che gli italiani facciano le valige. Sennò, come potrebbero contribuire al bene di tutti se restassero a casa?

Cordiali saluti da Down Under,

Silvia

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“Sono a Londra perché la mia fame ha superato la paura. L’Italia è bella, ma non è l’unica”

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‘Noi emigrati destinati all’oblio’: la poesia di un expat dalla Svizzera

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