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Migranti, Amnesty: “Italia, Malta e Ue complici di morti e violenze in Libia. 721 vittime in mare solo tra giugno e luglio”

Nel rapporto 'Tra il diavolo e il mare blu profondo. I fallimenti dell’Europa su rifugiati e migranti nel Mediterraneo centrale' Amnesty International fa il bilancio delle drammatiche conseguenze “delle politiche europee volte a chiudere la rotta del Mediterraneo centrale”. E accusa: "Persone detenute nei lager libici aumentate dalle 4.400 di marzo ai 10mila di fine luglio"
Migranti, Amnesty: “Italia, Malta e Ue complici di morti e violenze in Libia. 721 vittime in mare solo tra giugno e luglio”
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Ventisette pagine, come atto d’accusa all’Italia e a tutta l’Europa. Colpevole per il numero di persone che continuano a perdere la vita nel Mediterraneo e per quelle che sono state rimandate in Libia, nei centri di detenzione che non sono altro che lager. Nel rapporto ‘Tra il diavolo e il mare blu profondo. I fallimenti dell’Europa su rifugiati e migranti nel Mediterraneo centraleAmnesty International fa il bilancio delle drammatiche conseguenze “delle politiche europee volte a chiudere la rotta del Mediterraneo centrale” e accusa i Paesi dell’Ue di cospirare con la Libia con l’obiettivo di contenere gli arrivi.

AUMENTA IL NUMERO DI MORTI – Nel dossier l’organizzazione rivela come le decisioni dell’Europa abbiano provocato oltre 721 morti in mare solo tra giugno e luglio del 2018. Nello stesso periodo il tasso di mortalità di coloro che hanno tentato di attraversare il Mediterraneo partendo dalla Libia è aumentato a 1 su 16 rispetto all’1 su 64 dei primi cinque mesi dell’anno. “Nonostante il calo del numero di persone che tentano di attraversare il Mediterraneo negli ultimi mesi, il numero di morti in mare è aumentato”, ha affermato Matteo de Bellis, ricercatore sui temi di asilo e migrazione di Amnesty International. Secondo cui “la responsabilità per il crescente numero di vittime è riconducibile ai governi europei, che sono più preoccupati di tenere le persone lontane, rispetto che a salvare vite umane”. Di fatto, scrive Amnesty, “le nuove politiche italiane hanno lasciato persone in mare bloccate per giorni”.

LA COSPIRAZIONE – Ad essere aumentato è anche il numero di persone detenute nei centri libici. Sono passati da 4.400 di marzo ai 10mila di fine luglio, tra cui ci sono circa 2mila tra donne e bambini. “Virtualmente – scrive Amnesty – sono tutte persone intercettate in mare e riportate in Libia dalla Guardia costiera libica che è equipaggiata, addestrata e supportata da governi europei”. Al centro dell’atto di accusa, infatti, la decisione di autorizzare “la Guardia costiera libica a intercettare le persone in mare”, ostacolando “il lavoro vitale di soccorso delle ong”. Per Amnesty “i governi europei sono collusi con le autorità libiche per contenere rifugiati e migranti in Libia, nonostante gli orribili abusi” di cui sono vittime, sia quando finiscono “nelle mani della Guardia costiera libica” sia nei centri di detenzione in Libia.

IL RUOLO DELL’ITALIA – Saltata l’intesa sulla riforma delle regole di Dublino, che avrebbe disciplinato il diritto d’asilo per i migranti che arrivano in Europa ed evitato controversie tra Stati, l’Italia ha iniziato a negare l’ingresso nei suoi porti alle navi che trasportavano persone salvate. Una politica che riguarda non solo le navi delle ong, ma anche i mercantili e persino quelle della marina straniera. “Nel suo rifiuto insensibile degli sbarchi di rifugiati e i migranti nei suoi porti – accusa Amnesty – l’Italia usa le vite umane come moneta di scambio”. La gente disperata è rimasta bloccata in mare con cibo, acqua e ripari insufficienti “mentre l’Italia – sottolinea de Bellis – cerca di aumentare la pressione politica per la condivisione delle responsabilità con gli altri Stati europei”. In particolare le autorità italiane e maltesi “hanno denigrato – aggiunge il ricercatore – intimidito e criminalizzato le eroiche ong che tentano di salvare vite in mare, hanno rifiutato alle loro imbarcazioni il permesso di sbarcare e le hanno persino confiscate.

GLI EPISODI DA CHIARIRE – Nel rapporto vengono anche descritti diversi episodi “su cui è necessario investigare tempestivamente e in modo adeguato”. Tra questi l’incidente avvenuto tra il 16 e il 17 luglio e sul quale sono state date diverse versioni da parte della Guardia costiera libica. Di certo c’è che la ong catalana Proactiva Open Arms ha soccorso al largo della Libia Josefa, una donna originaria del Camerum di 40 anni. L’unica trovata viva dalla ong dopo il naufragio di un barcone di migranti. Prima di essere tirata fuori dall’acqua era rimasta per due giorni in mare attaccata a una tavola. Insieme a lei, i soccorritori hanno trovato anche i corpi di un’altra donna e di un bambino. Un altro episodio da chiarire è quello che risale al 30 luglio scorso. Non era mai accaduto, infatti, che una nave italiana riportasse in Libia i migranti soccorsi nel Mediterraneo. Lo ha fatto la Asso Ventotto, vascello di supporto a una piattaforma petrolifera, che ha recuperato 101 persone a bordo di un gommone nel Mediterraneo riaccompagnandoli nel porto di Tripoli.

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