Se ne parla un comico, l’argomento viene immediatamente ripreso con enfasi dai media. Ma poiché lo dice un comico – anche se è un comico che ha espresso alcuni tra i pensieri politici più innovativi e incisivi degli ultimi anni – la proposta viene subito arruolata tra le facezie estive. C’è lo spiritoso che suggerisce la chiamata per sorteggio dell’idraulico e mi mette in ansia; e c’è chi, più serio, invoca il gioco d’azzardo. Anche se le stagioni non sono più quelle di una volta, in Italia i media e le opinioni continuano a seguire una stagionalità ferrea.

La democrazia aleatoria è un’utopia da notte delle Perseidi? La questione viene sollevata periodicamente e dappertutto, compresi gli Stati Uniti, spesso senza conseguenze pratiche, ma non sempre. Nel 2013 l’Irlanda ha affidato la riforma di otto articoli della Costituzione a un organismo di 100 persone con un mandato vincolante, dopo la convalida del Parlamento stesso ed eventuale referendum: 33 elette, 66 sorteggiate tra i cittadini e una soltanto, il presidente, nominata dal Parlamento. E l’Irlanda non è un immaginario Paese dei campanelli che ospita le avventure rappresentate in un’operetta giocosa, ma la nazione europea prediletta da corporate e multinazionali.

Negli Stati Uniti uno scrittore anarco-capitalista, Terry Hulsey, ha proposto il 28esimo emendamento alla Costituzione per rendere casuale la nomina dei membri di Camera e Congresso e, indirettamente, del Presidente. In Europa, la demarchia ha sostenitori in Francia, Olanda, Belgio, Germania, Scozia e Regno Unito. Una fondazione inglese, la Sortition foundation creata da Brett Hennig, sta promuovendo il sorteggio democratico a livello internazionale, raccogliendo adesioni in tutti i continenti. E in Scozia questo movimento ha proposto di recente la costituzione della Citizen’s assembly, quale seconda camera del Parlamento scozzese di 73 membri sorteggiati per un mandato biennale non rinnovabile. Esso afferma che “istituire un’assemblea dei cittadini quale seconda camera per il Parlamento scozzese aumenterebbe la fiducia del pubblico in parlamento e rafforzerebbe la fiducia dei legislatori sul fatto che vi è un ampio sostegno pubblico per le loro decisioni”.

La demarchia non è quindi un’utopia impossibile, ma un terreno politico su cui riflettere. Non sappiamo ancora se la demarchia potrà diventare un sistema diffuso o prenderà strade intermedie, come i “minipopuli” di Robert Dahl, elementi integrativi del potere legislativo, piuttosto che sostitutivi. Ma sappiamo che si tratta di una opzione concreta.

Nel mio nuovo libro (Morte e resurrezione delle università) che uscirà a giorni, propongo la demarchia come metodo di governo di ambiti e comunità omogenee, in particolare le università. E come le università, sono omogenee le comunità sportive e la scuola, le associazioni e i sindacati e la magistratura. Non è un’idea peregrina né una novità, se un deputato – l’ulivista Paolo Palma –firmò a suo tempo un emendamento per la Bicamerale D’Alema (l’organo parlamentare che, alla fine del secolo scorso, avrebbe dovuto riformare la nostra costituzione, senza successo) volto a introdurre il sorteggio per le nomine dei membri del Consiglio superiore della Magistratura.

P.S. Morte e resurrezione delle università sarà disponibile a giorni su due tra le piattaforme digitali di auto-pubblicazione più note (Amazon kindle direct publishing e Kobo). Sulla prima, sarà anche possibile ordinare la versione print-on-demand, paperback cartacea. La versione in lingua inglese verrà alla luce un mese dopo, sempre sulle due piattaforme, in corrispondenza del trentennale della Magna Charta Universitatum.

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